Le radici di molte malattie neurodegenerative, come sclerosi multipla e Alzheimer, si nascondono in un lontano passato, portate nel Dna degli Europei da antiche popolazioni migrate dall’Asia circa 5.000 anni fa.
Lo indica la ricerca di un grande gruppo internazionale composto da circa 175 ricercatori, fra i quali molti italiani, che negli ultimi cinque anni ha messo a punto la più grande banca genetica umana antica, liberamente accessibile, grazie all’analisi di ossa e denti appartenuti a quasi 5.000 individui.
I risultati sono stati pubblicati in quattro studi sulla rivista Nature, coordinati dall’Università danese di Copenaghen, e ai quali hanno partecipato le Università di Cambridge della California a Berkeley. Agli studi hanno contribuito anche Università Sapienza e Università Tor Vergata di Roma, l’Università di Siena, le Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Bari e di Cosenza e la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche.
“Questo lavoro rappresenta il futuro delle ricerche di questo tipo, visti anche gli ingenti investimenti che sono necessari per portarle avanti”, dice all’ANSA Alfredo Coppa, ricercatore e docente della Sapienza di Roma e tra gli autori degli studi coordinati da Eske Willerslev delle Università di Cambridge e Copenaghen, Thomas Werge di quella di Copenaghen e Rasmus Nielsen dell’Università della California. “Ormai si lavora su numeri molto grandi, poiché le nuove tecnologie hanno permesso un grosso abbattimento dei costi – prosegue Coppa – un tempo sarebbe stato impensabile”.
Analizzando i Dna antichi conservati nelle collezioni museali di tutta Europa e dell’Asia occidentale, i ricercatori hanno infatti coperto un periodo che risale indietro nel tempo fino a 34.000 anni fa, per arrivare poi fino al periodo vichingo e al Medioevo. Questi dati sono stati poi confrontati con il Dna moderno di 400.000 persone che vivono in Gran Bretagna, conservati nella grande banca dati britannica Uk Biobank. “La creazione di una banca genetica degli antichi abitanti dell’Eurasia è stato un progetto colossale”, afferma Willerslev. “Abbiamo dimostrato che la nostra banca genetica funziona come uno strumento di precisione – continua il ricercatore – in grado di fornirci nuove conoscenze sulle malattie umane. Questo è già di per sé sorprendente, e non c’è dubbio che avrà molte implicazioni”.
Gli autori degli studi, infatti, hanno scoperto che i geni che aumentano significativamente il rischio di sviluppare la sclerosi multipla furono introdotti nell’Europa Nord-occidentale circa 5.000 anni fa, da allevatori che migravano da Est: il Dna antico ha permesso di risalire con precisione ad una regione che oggi si estende tra Ucraina, Russia Sud-occidentale e Kazakistan occidentale. Queste varianti genetiche, pur aumentando il rischio di sclerosi multipla, hanno fornito un vantaggio di sopravvivenza a quei popoli di allevatori, poiché molto probabilmente li proteggevano dalle infezioni trasmesse dal bestiame. “Questi risultati cambiano la nostra visione delle cause della sclerosi multipla – aggiunge Willerslev – e hanno implicazioni sul modo in cui viene trattata”.
Inoltre, geni noti per aumentare il rischio di malattie come l’Alzheimer e il diabete di tipo 2 sono stati fatti risalire ad antiche popolazioni di cacciatori-raccoglitori e analisi future potranno rivelare nuove informazioni anche su disturbi psichiatrici come il disturbo da deficit di attenzione e la schizofrenia. “Il grande interesse legato a questi studi riguarda principalmente gli aspetti medici: capire il meccanismo genetico alla base delle patologie – spiega Coppa – permetterà poi di intervenire in maniera più efficace, quindi i risultati ottenuti dovranno essere sfruttati al meglio”.