Nelle “Lezioni americane” Italo Calvino (oggi chi sa chi è?), racconta di Chuang-Tzu, artista cui il Re chiese il disegno di un granchio: Chuang -Tzu chiese cinque anni, una villa e dodici servitori, trascorsi cinque anni ne chiese altri cinque, dopo dieci anni prese il pennello, e istantaneamente, in un unico gesto, prese il pennello realizzando un granchio perfetto come nessuno aveva mai fatto.
Provate a relazionare quest’idea dell’arte a cosa avviene nell’arte contemporanea e ai tanti artisti che conoscete (a Cagliari c’è chi si professa artista in ogni condominio, con conflittualità di pianerottolo annessa e connessa).
La situazione dell’arte contemporanea, eterodiretta da interessi di mercato privati, è diventata imbarazzante, non solo l’arte contemporanea, in Italia è imbarazzante anche la rappresentanza politica trasversalmente, per non parlare della pubblica sanità (che qualche idiota chiama scienza), tutto questo per ridurre l’umano a persona, qualcosa privo d’anima e animalità.
In Italia l’artista che ha la forza di mettere a fuoco il tempo presente, necessita di rabbia, senso di giustizia e sana impotenza, questi tre elementi alimentano la produttività: il disagio, sentirsi disintegrato, è l’unica reale e concreta occasione di studio se si praticano i territori della semiotica, il disagio consente di studiare l’interiorità, di potere lavorare su di sé.
Vivere il proprio tempo vuole dire lavorare su di sé, comprendere che un evento personale riguarda milioni di persone, per esempio: vivere a Napoli, un luogo di tre milioni di residenti, di quattro milioni di Napoletani emigrati, con una lingua parlate in tutto il Regno delle due Sicilie, con una lingua che è la più parlata d’Italia dopo l’Italiano, rende un fatto sportivo, come lo scudetto del Napoli, qualcosa che naturalmente tocca tutti i Napoletani, un fatto storico di rivalsa contro la Juventus (i Savoia) e il Nord industrializzato (Milan e Inter), la gioia, i festeggiamenti muovono dal disagio.
Eppure i media di massa vorrebbero farci resistenti al disagio, tendono a renderlo inaccettabile, qualcosa da non comunicare, senza considerare come il non comunicare il disagio determini malessere: rifiutare il disagio determina il dolore.
L’alta formazione artistica contemporanea, che rappresenta un’idea d’artista come professionista della comunicazione, che non deve vivere il proprio disagio, pare non avere compreso la lezione di Maestri come Ensor, Munch, Van Gogh e Schiele, paiono nel tempo presente non essere mai stati, negati nel nome del risultato e della gratificazione istantanea, ma risultato e gratificazione istantanea, cosa hanno a che vedere con la crescita spirituale e la profondità dell’essere?
L’artista vive per trovare se stesso, non per guarire da qualcosa, la ricerca artistica non è mai veloce e comporta sempre fatica, l’attrito tra l’artista e la società determina acquisizione animica profonda.
Non penso esista un artista che sappia “buttare via” ciò che non piace o che non gli piace, perché è quello che è il suo stile e il suo linguaggio, gli altri non c’entrano, il giudizio degli altri sul suo lavoro, quando è strutturato e cosciente, è tempo sprecato, perché il suo lavoro è determinato da studio, nulla può tenere a freno un demone che si rispetti.
Questo millennio pare essere dominato dall’arte oligarchica, arte ridotta a strumento dell’oligarchia per raggiungere i suoi scopi, gli artisti imposti sono media che fanno passare informazioni stabilite a priori, come Banksy che altro non fa che sostenere pareri unanimi (pensate ai suoi lavori durante la pandemia del 2020).
Questo lungo testo per fare outing: ho passato gran parte della mia vita, a pensare che l’arte fosse una questione di personalità, qualcosa che servisse ad alimentare comunicazioni sociali, quanto l’ho offesa consegnandola ai centri sociali o alla politica locale?
Quanto mi sono offeso?
Roba da farmi sputare in faccia da Caravaggio o Van Gogh!
L’arte è una questione d’anima, nessuno sforzo, solo osservazione e ascolto, istantaneità figlia del momento, solo così l’artista è libero, altrimenti l’artista è servo e zerbino del lato oscuro, quella forza che riduce l’umano a bestiame col quale non essere clemente, la libertà dell’artista necessita di serenità, di vivere con gioia e leggerezza, anche se intorno tutti paiono muoversi sotto ipnosi, è il momento della storia dove fidarsi della vita è una necessita, solo la vita sa cosa serve all’arte e all’artista, lo sapeva Calvino quando ci raccontava di Chuang-Tzu.
Confondere l’Alta Formazione Artistica con la popolarità da social network e chiamare tutto questo autodeterminazione, dichiarandosi artista nel proprio condominio tra amici e parenti fingendo che lo studio non serva a nulla e conti solo il mercato vuole dire consacrarsi all’ignoranza autoreferenziale, per questo ho deciso che lascerò questo sud dell’isola, me andrò da questo mondo sicuramente isolato, ma non in isolamento volontario rispetto alla mia storia e alla mia origine.
di Mimmo Di Caterino