Ipocrisie, bugie e contraddizioni hanno caratterizzato il racconto di quasi vent’anni di partecipazione italiana a una guerra mascherata da missione di pace: le missioni in Afghanistan ISAF e poi Resolute Support, concluse nel 2021 e guidate dalla Nato.
Ne ha parlato il giornalista Giampaolo Cadalanu, inviato di guerra della Repubblica, sul palco della Casa del Jazz il 9 giugno, ospite del primo appuntamento con “Storie di ordinaria censura”, rassegna di musica e parole promossa da Ossigeno in collaborazione con Fondazione Musica per Roma.
“Durante una guerra, se il Governo nasconde le informazioni, se le basi militari non ospitano i giornalisti, come fanno i giornali e i giornalisti a informare bene l’opinione pubblica, com’è richiesto in ogni regime democratico? Noi giornalisti inviati in Afghanistan siamo riusciti a dare alcune notizie soltanto grazie alle ricostruzioni che riuscivamo a fare con le testimonianze dei soldati sul campo”.
Altre informazioni, invece, sono rimaste nascoste o volutamente presentate in modo da non fare comprendere alcuni aspetti.
Su queste cose Giampaolo Cadalanu insieme a Massimo De Angelis ha pubblicato il libro-incheista La guerra nascosta. L’Afghanistan nel racconto dei militari italiani (Laterza, 2023).
“La missione in Afghanistan – ha sottolineato parlando alla serata di Ossigeno – l’hanno presentata come una missione umanitaria e di peace-keeping, ma era una guerra. Una guerra mai dichiarata apertamente che l’Italia ha cominciato a combattere, senza che nessuno lo sapesse, ben prima dell’11 settembre 2001. In virtù di un patto bilaterale firmato con gli Stati Uniti, i piloti del gruppo Lupi Grigi decollati dalla portaerei Garibaldi erano impegnati nelle missioni di bombardamento sull’Afghanistan insieme agli aerei americani. Ma poiché gli aerei italiani si limitavano a illuminare, cioè a indicare le coordinate esatte degli obiettivi da bombardare, lasciando questo compito a bombardieri di altri paesi, si è detto che l’Italia non era in conflitto”.
“Un giorno – ha raccontato Giampaolo Cadalanu – un generale ci ha riferito che gli italiani si erano trovati coinvolti in uno scontro che aveva portato all’uccisione di una dozzina di talebani. Il Ministro si chiedeva come raccontare questo episodio. Il generale pensò di ricorrere al linguaggio militare usando il verbo neutralizzare invece di uccidere. Il Ministro ne fu entusiasta perché con questo stratagemma l’Italia non sarebbe stata dipinta come sanguinaria”.
“Ancora oggi esiste una prassi secondo la quale è meglio che all’opinione pubblica italiana sia fatto un racconto edulcorato, che narra soltanto di soldati pacifici che vanno a distribuire regali ai bambini. Così si offendono non solo i cittadini che hanno il diritto di sapere che cosa realmente fanno i nostri soldati, ma anche per i soldati che hanno combattuto e soprattutto per quelli che combattendo hanno perso la vita. Sono stati 52 i soldati italiani non hanno fatto ritorno dall’Afghanistan ”, ha concluso Cadalanu.