«Un terzo dei cittadini sardi non ha accesso alle cure fisioterapiche. Il problema riguarda soprattutto i piccoli centri o comunque i territori più decentrati, a causa della distanza, delle carenze strutturali dei trasporti e della viabilità, e dello scarso interesse da parte degli imprenditori del comparto sanitario ad investire in quelle aree». Lo ha detto questa mattina Gino Sedda, presidente dell’Ordine dei fisioterapisti della Sardegna centrale, nel corso di un convegno su “L’evoluzione della professione di fisioterapista”, che si è tenuto a Cagliari prima dell’Assemblea degli iscritti per l’approvazione del bilancio preventivo 2025.
Alla presenza del vicepresidente del Consiglio regionale, Giuseppe Frau, Sedda ha poi toccato altri punti che ha definito “nevralgici”: «In Sardegna abbiamo un grande problema, vale a dire le complicazioni burocratiche e amministrative che allontanano il paziente dall’operatore. I cittadini sono costretti a lunghe attese, a doppie e triple consulenze, e arrivano così alla valutazione e presa in carico da parte del fisioterapista spesso dopo settimane e mesi. C’è uno spreco di tempo prezioso, in cui l’intervento del fisioterapista è particolarmente efficace. Occorre semplificare il percorso che inizia con il bisogno del paziente di fare fisioterapia e si attua con l’erogazione della stessa da parte del fisioterapista. Per fare questo, bisogna modificare gli attuali modelli organizzativi e replicare le buone pratiche che esistono in altre regioni, su tutte la Toscana, il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna. Ecco perché oggi abbiamo invitato alcuni operatori di quelle realtà. La nostra isola è caratterizzata da un territorio vasto e scarsamente popolato, in parte impervio e con marcate carenze infrastrutturali in termini di viabilità; 314 Comuni sardi su 377 (vale a dire l’83%) hanno una popolazione al di sotto dei cinquemila abitanti. Sono aspetti che aggravano le difficoltà di accesso ai servizi sanitari e quindi anche alla fisioterapia».
Al convegno erano presenti anche Pierpaolo Pateri, direttore del distretto 2 Cagliari Area Ovest della Asl di Cagliari, e alcuni rappresentanti dell’Ordine degli infermieri. Sedda ha precisato, a tal proposito: «Nell’idea che abbiamo, non si può prescindere da una stretta collaborazione e condivisione di obiettivi. Gli infermieri hanno rafforzato il concetto di prescrizione e di percorso specialistico, che vogliamo sostenere. In sostanza, è necessario dare una risposta in termini organizzativi per offrire un’assistenza sanitaria integrata e non interventi disgiunti e prestazionali. Occorrono risposte sperimentali con nuove modalità di presa in carico dei pazienti, che assicurino continuità terapeutica non solo tra ospedale e territorio ma anche un pieno supporto ai medici di Medicina generale. Infine, progetti che coinvolgano i liberi professionisti per dare un precoce intervento e continuità all’intervento del fisioterapista ad evitare il ritardo nella presa in carico e l’incremento delle liste d’attesa».
«Le norme che regolano l’esercizio della professione sanitaria di fisioterapista nascono e si consolidano negli anni Novanta», ha ricordato Vincenzo Manigrasso, esperto di Management, Metodologia della ricerca in ambito sanitario, Metodologia della formazione e della didattica, Scienze del recupero. «Esse si fondano su tre principi giuridici che sono quelli dell’autonomia, della responsabilità e della titolarità, la cui affermazione ha segnato il passaggio dalla condizione di ausiliarietà a quella di professione e ha consentito, in presenza di uno specifico corpus di conoscenze scientifiche, sia l’affermazione della fisioterapia quale disciplina a sé stante, sia lo sviluppo del ruolo professionale».
«Specifiche determinanti quali l’invecchiamento della popolazione, l’epidemiologia, la cronicità delle patologie e la complessità del territorio, influenzano il panorama dei bisogni sanitari», ha sottolineato Patrizia Meleddu, vicepresidente dell’Ordine dei fisioterapisti della Sardegna centrale. «La presa in carico dei pazienti con bisogni fisioterapici di varia natura, diversificati per complessità e intensità di cura, devono essere soddisfatti al meglio e trovare, nella tempistica ritenuta congrua dalle evidenze scientifiche, risposte dall’offerta di servizi attuale e futura in maniera omogenea e ugualitaria, in un continuum assistenziale».
Fabio Bracciantini, dirigente delle Professioni sanitarie della riabilitazione dell’Azienda Usl Toscana Sud Est, ha analizzato le difficoltà legate alle normative nazionali e alle disparità regionali: «Nonostante le linee guida e le normative esistenti, l’accesso alle prestazioni fisioterapiche rimane disomogeneo sul territorio, con significative variazioni nell’implementazione delle politiche sanitarie e nella disponibilità delle risorse», ha detto. «Vengono, inoltre, presentate le esperienze positive di alcune regioni che, attraverso modelli innovativi e l’adozione di buone pratiche, sono riuscite a superare parte di queste criticità. L’analisi evidenzia come l’integrazione tra normative chiare e iniziative locali possa migliorare l’efficacia del sistema, promuovendo un accesso equo e tempestivo alla fisioterapia per tutti i cittadini».
«La professione di fisioterapista si trova oggi al centro di trasformazioni profonde, dovute a una combinazione di fattori demografici, epidemiologici, tecnologici e organizzativi», ha detto Melania Salina, vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini dei fisioterapisti. «La transizione demografica, caratterizzata dall’invecchiamento della popolazione, ha portato a un aumento delle patologie croniche e degenerative, richiedendo un ripensamento dei modelli di cura centrati sulla gestione della cronicità. Parallelamente, l’epidemiologia moderna evidenzia il crescente peso delle condizioni muscoloscheletriche e neurologiche, che rappresentano sfide rilevanti per i professionisti della riabilitazione. A queste trasformazioni si aggiunge l’impatto emergente dell’intelligenza artificiale, che offre opportunità per migliorare la diagnosi, la personalizzazione dei trattamenti e il monitoraggio remoto, ma solleva questioni etiche, formative e operative che richiedono una preparazione adeguata. In questo contesto, diventa cruciale aggiornare i programmi di formazione per i fisioterapisti, favorendo competenze digitali, interdisciplinarietà e approcci evidence-based. Allo stesso tempo, si rende necessaria una revisione dei modelli organizzativi, con un passaggio verso sistemi più integrati e flessibili, capaci di rispondere a bisogni complessi e in rapida evoluzione».
«Il fisioterapista svolge la propria attività in via autonoma o in collaborazione con altre figure sanitarie», ha concluso Sedda. «Ecco perché dobbiamo porre attenzione alla collaborazione con la professione di infermiere. Desideriamo fare una riflessione approfondita sul dibattito aperto dalla Federazione degli infermieri, in merito alle lauree specialistiche ad indirizzo clinico e alle possibilità di prescrivere le prestazioni».