Sardegna nord occidentale, Capo Caccia. Su un promontorio di roccia calcarea, chiamato per la sua conformazione il ‘Gigante che dorme’, si erge solitario un faro bianco. Originariamente costruito nell’800, è stato poi riedificato tra il 1950 e il 1960.
Con i suoi 186mt oltre il livello del mare, è il faro più alto d’Italia, nonché uno dei più visibili del Mediterraneo. Avvolto dalla gabbia di Farday che lo protegge dai fulmini, domina incontrastato il Golfo di Alghero. Abitato per oltre vent’anni da Luigi Critelli, un genovese incaricato di custodirlo e tenerlo in funzione, offre un ottimo
punto di partenza per un viaggio verso quella che tutti conoscono come la ‘Barcellona’ della Sardegna.
Dal 1354 e per quattro secoli, infatti, Alghero è stata una colonia catalana, strappata al dominio dei genovesi. La sua eredità storica la rende un unicum in Sardegna e contribuisce a farne ‘un’isola nell’isola’. Il centro storico, le fortificazioni, le stradine acciottolate, ma soprattutto il particolarissimo idioma (l’’algherese’: una commistione tra la variante più antica del catalano e il sardo) ricordano le atmosfere delle cittadine nordorientali della Spagna. A sugellare ulteriormente questo ‘gemellaggio’ con la Catalogna, una data in particolare: 25 agosto 1960. In quella
giornata di fine estate, la nave da crociera Virginia de Churruca approda ad Alghero con 159 catalani, ansiosi di conoscere i loro ‘fratelli’ di lingua.
Un evento straordinario, il famoso Viatge del Retrobament, che vede la partecipazione di quasi quindicimila persone, provenienti da tutta la Sardegna, che si riversano sul molo e le banchine del porto per assistere al grande arrivo. Un ricordo indelebile nella memoria storica della città, come testimonia Pasqualino Mellai, sarto di professione e algherese doc, che racconta l’emozione di quel momento come espressione massima dell’identità catalana di Alghero. Una peculiarità assoluta, di cui sente già parlare a fine ‘800, quando lo scrittore e reporter francese Gaston Vuillier, di ritorno da un viaggio in Sardegna, rimane colpito dalle particolarità dell’isola in generale, ma soprattutto da Alghero: ‘Ho l’impressione di essere in Catalogna: tutto concorre a rendere più completa questa sensazione, i volti, le case, il suono delle voci, la lingua stessa’.
Ma il legame con la Francia non si esaurisce qui. Nella Baia di Porto Conte, a pochi chilometri da Alghero, nel 1944 vive Antoine de Saint-Exupery, autore del famoso Il Piccolo Principe, cui vengono affidati dei voli di ricognizione sulle coste della Francia per fotografare gli avamposti tedeschi. Vive ad Alghero gli ultimi mesi della sua vita, dove, cullato dal mare, scrive gran parte de La Cittadella e Lettera a un americano. La vecchia torre aragonese della Baia di Porto Conte ospita oggi il M.A.S.E, un museo che ripercorre le tappe fondamentali della vita e delle opere dell’aviatore/scrittore più noto di sempre.
Ma Il Piccolo Principe abita anche a Tramariglio, a poca distanza dal M.A.S.E. Qui, infatti, dove per vent’anni è esistita una colonia penale (1941 – 1961) trasformata poi in villaggio agricolo, il poliedrico Elio Pulli, famoso artista sassarese, ha deciso di mettere su bottega, realizzando tra l’altro sculture e quadri dedicate alla famosa fiaba di Saint-Exupery.
Se la Sardegna è famosa per l’arte in generale, ad Alghero sembrano concentrarsi le realtà culturali più insolite. Il teatro, ad esempio, riveste un ruolo cruciale. In primis, l’esperienza de Lo Teatrì di Ignazio Chessa: con i suoi 38mq è il teatro più piccolo del mondo e ha una programmazione serrata che gli algheresi accolgono con grande
entusiasmo. E poi il Mamatita Festival, un festival di circo di strada, soprattutto al femminile, che si pone l’obiettivo di riappropriarsi degli spazi pubblici della città, per dargli nuova vita e metterli al servizio della comunità.
Per non parlare della musica, che trova espressione in un cantautorato in lingua algherese che, oltre a raccontare l’anima di questa città, si fa testimone della contaminazione identitaria di Alghero, fatta di storie di pescatori, di vento, di mare e naturalmente di catalanità.
A proposito di ‘mescolanze’ e accoglienza, Alghero si contraddistingue per un’altra storia interessante. A pochi chilometri dalla città, nella borgata di Fertilia, nata durante il regime fascista con l’idea di ricevere la popolazione in eccesso del ferrarese, nel 1947 arrivano a bordo di 13 pescherecci gli esuli di Istria, Fiume e Dalmazia. Ancora oggi, grazie anche alla presenza del Museo Egea, per le strade di Fertilia si respira l’aria di quell’esodo, che rappresenta un esempio straordinario d’integrazione tra culture diverse: sarda, giuliano-dalmata, algherese e ferrarese.
Oggi molta cittadinanza (insegnanti, traduttori, etc) si sta impegnando per tentare di non perdere il patrimonio culturale di Alghero, in particolar modo il suo idioma, sempre meno parlato e scritto dalle nuove generazioni. Un bene prezioso, fatto di tradizioni e racconti orali, da preservare e tutelare.