In Perù finisce spesso in questo modo: il presidente eletto viene sbattuto in carcere e il paese dilaniato dalla violenza delle proteste; la polizia a fronteggiare con violenza chi manifesta la propria rabbia e la propria delusione per una politica che proprio non riesce a riemergere dal pantano.
L’arresto di Pedro Castillo, socialista, ex maestro elementare, figlio di contadini, era riuscito a conquistare a sorpresa e ad un soffio, appena 44mila voti di scarto, la presidenza battendo alle urne la ben più solida candidata di destra, Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente peruviano Alberto Fujimori, attualmente in carcere per corruzione.
L’ultimo presidente peruviano ad aver concluso regolarmente il suo mandato è stato Fernando Belaùnde Terry, leader del partito centrista di Acciòn Popular. Ma bisogna tornare al 1985.
Da allora in poi soltanto scandali, inchieste e fallimenti. Alan Garcia, nel 2019, si sparò pochi istanti prima di essere arrestato, perché coinvolto nello scandalo Odebrecht.
Dopo il colpo di stato al governo è arrivata Dina Boluarte, che da subito ha avuto il sostegno degli Stati Uniti, e in subordine dell’Unione Europea, immediatamente riconosciuta come legittimo successore alla presidenza peruviana, “a salvaguardia della democrazia e dell’ordine costituzionale”.
Da allora tante sono state le proteste dei dissidenti in tutto il mondo, nel mentre il Perù diventava la succursale degli Usa e oltre 3200 marines occupano lo Stato.
A Torino, si è svolta una manifestazione di protesta dei peruviani che contestano l’Unione Europea, troppo impegnata a difendere l’Ucraina e silente sul colpo di stato in Perù.