Nel suo secondo libro, PFAS. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua, pubblicato da Altreconomia lo scorso febbraio, Giuseppe Ungherese condivide i risultati delle lunghe ricerche e dell’impegno civico che, in qualità di responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, lo hanno coinvolto in prima persona nel sensibilizzare sulla contaminazione da PFAS, anche noti come “forever chemicals”.
L’acronimo PFAS, da per- and polyfluoroalkyl alkylated substances, indica un gruppo di oltre 4700 sostanze chimiche artificiali ampiamente utilizzate, per via delle loro proprietà idrorepellenti e antimacchia, in molti prodotti di uso quotidiano, come rivestimenti antiaderenti per pentole e padelle, giacche, cosmetici e shampoo. La loro reputazione di “sostanze chimiche permanenti” si deve alla notevole resistenza alla degradazione che le contraddistingue e che le rende persistenti nell’ambiente e all’interno degli organismi viventi.
Con un linguaggio adatto a tutti, Ungherese approfondisce gli effetti nocivi dei PFAS sulla salute umana, tra cui danni al fegato, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità e cancro. Ricostruisce, inoltre, la loro storia, dalla prima volta in cui sono stati sintetizzati negli anni ’40 e ’50 del XX secolo, dal loro impiego nell’ambito del progetto Manhattan all’uso sempre più massiccio nei prodotti di tutti i giorni, fino alla causa legale che negli anni ’90 permise di decretarne, per la prima volta, la pericolosità: il processo intentato, nel West Virginia, in Ohio, contro l’azienda chimica Dupont da un piccolo agricoltore di nome Wilburn Earl Tennant.
Lavorando nella fattoria di famiglia nella città di Parkersburg, Tennant si trovò ad assistere impotente alla moria del suo bestiame, posto in prossimità del sito usato dall’azienda DuPont per scaricare tonnellate di PFOA, un tipo di PFAS all’epoca ancora poco conosciuto. Grazie all’instancabile lavoro dell’avvocato Robert Bilott, alla fine di un processo lungo vent’anni, si arrivò a stabilire le responsabilità di DuPont nel contaminare deliberatamente le acque potabili della zona e ad ottenere i relativi risarcimenti alla cittadinanza. Proprio Bilott, il cui lavoro ha avuto un impatto decisivo nel diffondere la consapevolezza sui rischi dell’inquinamento da PFAS, firma la prefazione del libro.
Dagli Stati Uniti, Ungherese ci conduce in Europa, un continente che ospita moltissimi hotspot di inquinamento da PFAS a causa dell’attività di molteplici multinazionali dell’industria chimica. Dalle Fiandre, precisamente nella città di Anversa, sede dell’azienda 3M, si passa per la città di Dordrecht, in Olanda, dove è presente uno degli stabilimenti della società Chemours, spin-off dedicato alla chimica del fluoro DuPont, fino ad arrivare ai gravi casi di inquinamento del nostro Paese in Piemonte, Veneto e Sardegna. Con uno stile semplice e appassionato, che unisce la conoscenza scientifica alle testimonianze dei cittadini coinvolti in prima persona, Giuseppe Ungherese ripercorre le storie di piccole comunità locali che, nel lottare contro giganti dell’industria chimica all’apparenza indistruttibili, hanno riscoperto un nuovo senso civico e la forza delle comunità di «disegnare un’altra storia. Una storia – scrive l’autore – in cui gli interessi collettivi vincano su quelli di poche èlite e gruppi di potere».