Le vie dei labirinti della mia memoria paiono danzarmi intorno senza riuscire a mordersi la coda, alimentando ipnotiche spirali nelle quali mi perdo. A Forio d’Ischia, all’inaugurazione della mia personale dal gallerista Salvatore Iacono (l’unico insieme a Toto Serio, al collezionista e imprenditore Michele Franzese e al pianista Francesco Villani in questo momento della mia vita a veicolare il mio lavoro) conosco Angela, la mamma di Pietro Romano, in arte P’ink, che era un amico di Giuseppe Iacono (ricordate? L’artista che ha recitato il testo di Sant’Agostino al posto del diacono che è stato interdetto) e che Angela mi ha guidato nel ricordarlo, di fatto mentre me ne parlava, mi raccontava del suo approccio all’arte del tatuaggio e quanto fosse responsabile nel veicolare i contenuti simbolici dei tatuaggi che eseguiva, sincerandosi di quanta coscienza ci fosse da parte di chi chiedeva di farsi eseguire questo o quel tatuaggio.
Angela mi diceva che erano poste in essere una serie di celebrazioni in memoria del figlio, una di queste in vetrina da Gino Ramaglia, che come spiega Eugenio Viola (non proprio un critico d’arte qualunque), si muove attraverso “simboli inquietanti di un passato non del tutto rimosso e richiami cristologia, si riassemblano una congerie di stimoli, umori, sensazioni, che restituiscono una realtà allucinata, sospesa tra reale e simbolico”. Sono contento d’averlo ricordato, con la mamma durante il mio intervento da Salvatore Iacono, dove si può rivolgere una preghiera a lui e so che è stata rivolta, e anche da Ramaglia, dove ho visto la vetrina: Pietro Romano è un artista della mia generazione che sa quanto sia sacro e simbolico il linguaggio dell’arte, io la sua lezione l’ho ascoltata e chi tatua e ha tatuato il mio corpo, sa quanto valore attribuisco al linguaggio simbolico dell’arte, chiederlo a Manus De Oru di Quartu Sant’Elena o a Luigi Ambrosio, che quando mi tatuò il logo di Flash Art sul gomito, mi fece respingere al mittente diffide e querele da parte del Direttore Giancarlo Politi. Mi spiace non potere essere anche a Villa Piromallo a Ischia in sua memoria dal 25 al 28 Aprile, sarò in quei giorni nel sud di un’altra isola che sto lasciando dopo averla amata con grande intensità, ma che so che vivrà con me in questo tempo senza memoria e in questa memoria senza tempo, su questo pianeta che per convenzione gli umani (non gli artisti che come P’ink sono semidei che dialogano con l’altrove) hanno chiamato terra.
“My sweet drama” è stata una performance del 2006, allestita presso il Palazzo Cellamare di Napoli, lungimirante e predittiva, quale aggiornamento della contemporaneità, scandagliando gli istinti più bassi della società umana. Il 17 dicembre 2019 percorrendo una strada di campagna del bresciano, dove aveva aperto il proprio studio, “Le Bateau Lavoir by P’ink” a Manerbio, un incidente stradale non interrompe i processi simbolici dell’arte posti in essere da P’ink, che vivono e convivono con noi, i linguaggi simbolici dell’arte sono portali che veicolano e connettono energie, nel nome delle quali lui è sempre presente e dialoga con grande profondità di contenuto con noi.
Di Mimmo Di Caterino