“Verso Graziano Mesina una vendetta di Stato. Hanno aperto le porte del carcere per mandarlo a morire nel reparto detentivo ospedaliero“. Così sui social la Garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa. È polemica per la morte di ‘Grazianeddu’, la primula rossa del banditismo sardo, che è morto a 83 anni gravemente malato e meno di 24 ore dopo la sua scarcerazione, decisa per motivi di salute: quella che è stata accolta è stata la settima istanza presentata dalla sua difesa, che da oltre un anno insisteva per l’incompatibilità delle sue condizioni di salute e la detenzione. Graziano Mesina era infatti malato terminale e di recente era stato trasferito dal carcere di Opera a quello di San Paolo di Milano. In vista della scarcerazione, aveva pronti i biglietti per tornare in Sardegna, nella sua terra, e morire lì vicino alla sua famiglia. Ma non ci è arrivato.
L’ex bandito (che a un certo punto divenne super ricercato e quasi una leggenda per le tante evasioni di cui fu protagonista) era tornato in carcere nel dicembre 2021, dopo una latitanza durata un anno e mezzo. Era stato condannato a 30 anni per traffico internazionale di droga, pena poi ridotta a 24. La sua cattura, a Desulo, era stata presentata come un trofeo: il Ros dei carabinieri lo aveva localizzato in una villetta, ai piedi del Supramonte, e riportato dietro le sbarre.
“Da oltre un anno le sue legali presentavano istanze rispetto alla sua grave condizione sanitaria, ma non c’è stata pietà né senso di umanità“, afferma la Garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa. “Non c’è stato il rispetto del diritto che consente anche a chi ha sbagliato di poter coltivare affetti e di poter scontare la detenzione nel luogo di residenza”. Lo Stato, ribadisce, “ha applicato con lui la vendetta. Come appunto anche ‘Grazianeddu’ fece da ragazzino cresciuto in una cultura difficile. Ma è grave che la vendetta sia stata praticata dallo Stato in un Paese dove lo stato di diritto deve essere il faro della giustizia”.