La pazzia della folla inferocita e cieca e il supplizio irragionevole di un essere umano, vittima non tanto della storia ma del caso, della superficialità, della gretta fame di sopraffazione, della vendetta sommaria, irragionevole. E soprattutto “antidemocratica”. Perché “la democrazia non lincia mai nessuno. Né può invocare giustificazioni per tollerare il linciaggio di un essere umano”.
Walter Veltroni torna alla storia e alla cronaca di quei giorni convulsi di una Roma da poco liberata dall’occupazione nazifascista: è il settembre 1944 quando la rabbia del popolo si trasforma in giustizia sommaria nei confronti di Donato Carretta, direttore di Regina Coeli, linciato e massacrato da una folla inferocita.
Quella mattina doveva aprirsi il processo a carico di Pietro Caruso, ex questore della capitale, accusato, tra l’altro di aver compilato la lista di persone destinate alle Fosse Ardeatine. Una folla premeva fuori dall’aula di giustizia, sfondò i cordoni per entrare al grido di “morte a Caruso”, ma l’ex questore non c’era. C’era Carretta. Era in aula per testimoniare contro Caruso, ma venne additato da una donna come responsabile della morte di persone detenute a Regina Coeli. E per questo linciato dalla folla, insoddisfatta e affamata di vendetta, gettato nel Tevere, finito a colpi di remo e poi appeso alle sbarre di una finestra del carcere. E’ la storia della “labile tenuta emotiva” di una massa cieca alla ricerca di un capro espiatorio e dello sgomento di un uomo che si trova per caso dalla parte sbagliata del tornante della Storia. “Mi ha dato molto dolore scrivere di questo uomo che si sveglia una mattina per andare a testimoniare contro un fascista, di un uomo che aveva fatto scappare Pertini e Saragat: ed invece finisce a piedi all’insù, vittima di un linciaggio spaventoso e violento”.
Ma La condanna racconta anche di un passato ancora attuale, in cui è possibile leggere il presente in cui viviamo. Viene in mente la violenza dei social ma, è l’invito di Veltroni, non è solo quello, non c’è solo la violenza virtuale: “Viviamo in un momento in cui il linguaggio ha perso i confini della democrazia” che si può declinare in tanti modi ma “mai con l’incitazione alla violenza”. Come quella pronunciata invece da Trump che evoca il “bagno di sangue” in caso di una sua mancata rielezione.