Il recente confronto politico tra un gruppo indipendentista e il centro sinistra, seppur legittimo, non può non tener conto del passato di chi ha governato la Sardegna e delle responsabilità sullo stato di sottosviluppo dell’Isola.
Un bilancio dell’operato politico deve essere al centro del confronto.
Oggi la società sarda necessita di un cambiamento radicale se si ambisce ad una svolta sul piano sociale, economico e politico. Ciò non sarà possibile finché i rapporti di forza tra cambiamento e conservazione saranno a favore della conservazione. La svolta implica la rottura radicale di un sistema consolidato di poteri nelle mani di una élite sempre più oligarchica. Nessuna svolta è possibile se non si sconfiggono i potentati negli schieramenti che si alternano al governo della Sardegna e se non si liberano gli apparati pubblici dall’occupazione da parte dei partiti politici e delle loro clientele.
Le alleanze sperimentate in questi anni da indipendentisti, non hanno prodotto alcun sostanziale cambiamento per la Sardegna. La mia stessa esperienza alla XIV legislatura nel Consiglio della RAS, benché parte attiva del dibattito, non è riuscita a far sì che il cambiamento si affermasse. Le dinamiche di potere, anche nei piccoli partiti del centro sinistra e i tradimenti per eliminare le diversità politiche sono stati la costante.
Le coalizioni che si sono succedute negli ultimi tempi, non hanno permesso alla Sardegna di superare il sottosviluppo. Il cambiamento implica la rottura di un sistema di potere forgiato e consolidato nel tempo da una visione egoistica perpetuata dalla stessa classe politica sarda.
La Sardegna necessita di forme avanzate di autogoverno che arginino il progressivo svuotamento delle libertà e delle autonomie individuali e collettive. Le servitù e i soprusi aumentano in nome dell’interesse nazionale. Quindi le auspicate forme di autogoverno di ogni comunità non sono compatibili con la centralizzazione dei poteri, voluta da tutti i governi in Italia e dalla stessa RAS nei confronti delle collettività.
Oggi non basta aderire a un programma per scongiurare il pericolo di una nuova vittoria del sardo-leghismo. Non si tratta solamente di vincere le elezioni. Non è questo il modo per riportare al voto chi fugge dalla politica, dalle urne e dalla speranza di una svolta.
Per le elezioni regionali, le alleanze implicano accordi e mediazioni su temi di importanza vitale. Come conciliare un’alleanza sulla Sanità con chi ha concorso al suo smantellamento? Le scelte sul fronte energetico, industriale, ambientale, agropastorale, trasporti, rete stradale, sull’RWM che fabbrica bombe… fanno parte di un operato politico già espresso e che ha segnato le sorti dei territori e dei residenti.
La militarizzazione, non può essere oggetto di accordi elettorali per competenze e in assenza di un’autonomia forte e autorevole. Non lo è neppure la riforma dello statuto speciale, una panacea in ogni tempo per tutti i mali.
Un nodo da sciogliere è la modifica della Legge elettorale di cui destra e sinistra, a fine mandato e in campagna elettorale, hanno promesso per mai attuarla. Una legge che limita la libertà dell’elettore escludendo le minoranze politiche e costringendole ad annessioni opportunistiche per poter competere alle elezioni. Una legge che blinda il potere dei soliti noti con il disprezzo della democrazia e dei diritti di rappresentanza per tutti.
Nessuna alleanza è auspicabile con chi promuove la deriva centralista del potere e l’espropriazione delle competenze territoriali. Una reale svolta implica la decentralizzazione dei poteri, più libertà al cittadino, più autonomia decisionale ad ogni comunità.
Oggi quali alleanze possibili?
Sono in un nuovo percorso che aggreghi i fermenti di lotta dei territori, che unisca le diversità e le singole differenze che si sono espresse, organizzando liste elettorali dai comuni alla Regione fuori da logiche già sperimentate. Questa è la grande sfida e unica speranza per i sardi.
La Questione sarda, non può essere risolta da chi ha concorso a determinarla.
Di Claudia Zuncheddu