“Non parlo della Rai, vorrei evitare un procedimento disciplinare… posso dire che per la prima volta a distanza di 30 anni non andrò alla presentazione dei palinsesti”.
Lo spiega, rispondendo ai giornalisti, Sigfrido Ranucci, coautore e conduttore di Report protagonista di un incontro con il pubblico sul suo volume La scelta (Bompiani) alla 23/a edizione del Libro Possibile, il festival sostenuto da Pirelli, che chiude la prima parte a Polignano a Mare e poi sarà dal 23 al 27 luglio a Vieste. A chi gli chiede se questa decisione sia anche legata all’ipotesi di spostamento d’orario per la trasmissione d’inchiesta su Rai 3 commenta: “Credo che Report, una risorsa interna, essendo stata premiata come la migliore trasmissione di informazione, quella che incarna di più il servizio pubblico, meriti in assoluto più rispetto”.
Nel libro il giornalista parla della libertà d’informazione, dei rischi che corre e del suo lavoro e di Report. “In Italia mi sono sempre sentito libero, anche in questi anni – aggiunge – Bisogna mettersi d’accordo su quanta energia devi impiegare per difendere questa libertà di stampa, per renderla più divulgabile, su quanta forza hai ancora per difendere questo e il diritto dei cittadini di essere informati”. Al termine “di diversi tour per la presentazione del libro, l’affetto della gente che ho trovato non ha prezzo – sottolinea -. Mi ha fatto riconciliare con le scelte fatte in questi anni di privilegiare il pubblico come unico editore di riferimento, senza avere nessun padrino politico, dei poteri forti, L’aver scelto di rimanere me stesso. Credo che l’indipendenza sia uno stato dell’anima”. Noi comunque “viviamo in un Continente, l’Europa, che presume di essere la culla della civiltà. In pochi ricordano che ci sono stati cinque giornalisti uccisi negli ultimi anni (fra gli altri, Daphne Caruana Galizia a Malta, Peter R. De Vries in Olanda, Giorgos Karaivaz in Grecia, ndr) – ricorda Ranucci -.
Stavano indagando sui rapporti tra la politica e la criminalità organizzata e non hanno ancora avuto giustizia. Poi in Italia abbiamo 270 giornalisti che sono tutela, 22 completamente sotto scorta. Abbiamo il record mondiale di politici che denunciano i giornalisti e abbiamo delle leggi liberticide che sono state approvate o stanno per esserlo”. Ad esempio “si prevede il carcere per i giornalisti che divulgano notizie illecitamente raccolte. Penso ai colleghi del consorzio del giornalismo investigativo come Icij o Irpi che hanno realizzato inchieste straordinarie”. Si riferisce, fra le altre, “ai Panama Papers o i Paradise Papers, che riguardavano risorse sottratte alla collettività, quindi meno sale di terapia intensiva, meno maschere per l’ossigeno, meno insegnamento, meno welfare, meno strade sicure portate nei paradisi fiscali a beneficio anche di ricchi politici”. Quelle informazioni provenivano “anche da attività di hackeraggio fatte nei centri di grandi transazioni finanziarie. Ma mentre negli Usa il consorzio Icij è stato premiato con il Pulitzer, qui rischierebbe il carcere. Poi c’è chi vuole impedire di dare i nomi degli arrestati, di parlare dei rapporti con terzi. Il corto circuito potrebbe avvenire ne 2025 a gennaio quando entrerà in vigore la Cartabia con il meccanismo dell’improcedibilità”. Ha mai avuto paura? “Certo, sono stato in contesti di guerra, è giusto avere paura perché serve a salvare la tua vita e quella delle persone che ti stanno vicino”.
Venendo infine al caso Assange, “credo sia un bene per come è finita ma le modalità lasciano l’amaro in bocca. Perché è una persona che ha pagato 15 anni di libertà individuale; ha dovuto ammettere delle responsabilità che non abbiamo ben capito quali siano, se poi parliamo di informare la gente, su quello che è successo in termini di crimini di guerra e anche su come è stato gestito il nostro governo in alcuni anni”.