Saviano, non mi sono salvato la vita e ho fatto male

Oggi con i social “qualunque venticello, qualunque idiozia può essere ripresa dai tuoi avversari politici e spalmata all’infinito.

Come fa il tuo cuore a non esplodere per il fatto che sul niente, non sul verosimile, ma sul falso assoluto, possa partire qualsiasi cosa.

Come sopravvivi? Come fai a non nasconderti dal mondo? Come fai ancora a parlare? Molti miei colleghi lo sanno, infatti non parlano, oggi dico giustamente. Anni fa avreste sentito dirmi che facevano malissimo a tacere. Invece si salvano la vita e fanno bene. Io non me la sono salvata e ho fatto male”. E’ una riflessione di Roberto Saviano durante ‘Come James Baldwin’, l’incontro dedicato al grande scrittore newyorchese (autore di capolavori come La camera di Giovanni e Se la strada potesse parlare, scomparso nel 1987 a soli 63 anni), del quale è stato protagonista a Libri Come, Festa del libro e della lettura in corso a Roma.

E’ un viaggio appassionato, quello di Saviano, nella vita e nella letteratura dello scrittore afro americano diventato anche un simbolo della lotta per i diritti civili, amico di Martin Luther King e Malcolm X,. L’autore di Gomorra ha aperto, sorridendo, con una battuta: “E’ una gioia essere a un evento a Roma… non mi hanno ancora arrestato… ci provano”. Baldwin, nato nel 1924, primo di nove figli, cresciuto ad Harlem, di casa in Francia da quando aveva 24 anni, pur continuando a tornare negli Stati Uniti, “era letto da Martin Luther king e Malcolm X”. Partecipò anche alla marcia di Washington del 1963, “ma King decise di non farlo parlare dal palco, come gli avevano chiesto, perché si temeva che la sua dialettica caratterizzata da un ingaggio rabbioso, potesse creare incidenti, e Baldwin capì”. Già con il suo primo libro, Gridalo forte (1953) “emerge la forza di uno scrittore che racconta Harlem e la condizione afroamericana confrontandosi e contestando anche quello che era stato un suo maestro Richard Wright” che per Baldwin “vedeva negli afro americani solo delle vittime”.

L’autore di La camera di Giovanni diceva invece di non voler raccontare condizioni “ma esseri umani”. Per Badwin “non si trattava di essere la voce dei diseredati, ma del fatto che uno scrittore sia la voce di tutti quelli che l’hanno prodotto, avendo bisogno di lui, come l’unico testimone in termini di linguaggio contro l’anonimato della loro condizione”. Tra i dolori della sua vita, l’accusa ricevuta da Eldridge Cleaver, leader delle Pantere nere, di essere un ‘traditore della causa” per aver parlato anche di omosessualità (Baldwin non ha mai nascosto la propria) nella comunità nera. Baldwin “vuole dare con la sua letteratura alle persone uno strumento per non sentirsi giudicate” sottolinea Saviano. “Per lui la politica era come la religione. Perché per capire la morale devi frequentare la feccia, stare fuori dal tempio. Dev’esserci l’incontro con l’altro, la possibilità di conoscere. La preghiera di questa prassi è la gentilezza, intesa come apertura, il che non esclude la rabbia”. La gentilezza “di cui parla Baldwin è quella che ti fa vedere che non è giusto subire e devi scegliere”, scrive Francesca Pierleoni per l’Ansa.

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