“Quando la diffamazione diventa impunità: il caso Cappellacci e la vergogna dell’articolo 68”, inizia cosi una nota di Raimondo Schiavone, presidente del Centro Italo Arabo che era stato accusato pubblicamente di antisemitismo dal deputato.
“La questura smentisce. Ma la legge protegge l’accusatore, non la vittima. Viviamo in un Paese dove un deputato può diffamare pubblicamente un cittadino, accusarlo di antisemitismo, e poi rifugiarsi dietro l’immunità parlamentare per non rispondere delle proprie parole. È questo il volto reale della democrazia italiana nel 2025: un sistema dove la verità viene calpestata, i cittadini aggrediti e i potenti protetti”, scrive ancora Schiavone.
“Il fatto è accaduto a Cagliari, durante un evento culturale del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo, un’occasione di dialogo e conoscenza, con film, conferenze e ospiti internazionali. Ma per Ugo Cappellacci, deputato di Forza Italia ed ex presidente della Regione, era l’occasione per lanciare un attacco mediatico. Con un’interrogazione parlamentare, Cappellacci ha parlato di presunti cori e slogan antisemiti, di partecipazioni “sospette” da parte di collettivi anarchici, ex brigatisti, perfino di apologia del terrorismo”, prosegue la nota,
“Il bersaglio diretto? Raimondo Schiavone, presidente del Centro, indicato pubblicamente come responsabile morale di quel presunto “scandalo”. Ma era tutto falso. Dagli atti giudiziari emerge con chiarezza: nessuna delle accuse mosse da Cappellacci ha trovato riscontro. La Questura di Cagliari, presente all’evento con agenti di pubblica sicurezza e Digos, ha smentito categoricamente la presenza di cori antisemiti o dichiarazioni contro la comunità ebraica. Le registrazioni integrali delle conferenze confermano che non è stato pronunciato alcun contenuto d’odio. Solo discussione, cultura, e un dibattito sull’orrore della guerra. E allora? Allora succede l’impensabile. La vittima si trasforma in imputato. Schiavone, indignato, querela Cappellacci per diffamazione aggravata. Ma la giustizia si ferma. Si blocca. Perché l’imputato è un deputato”, incalza Schiavone.
“E l’articolo 68 della Costituzione lo protegge. Quella che doveva essere una garanzia per la libertà di parola del Parlamento si è trasformata in uno scudo per infangare impunemente i cittadini. Nessuna aula parlamentare, nessun dibattito istituzionale: l’accusa è nata e cresciuta sui social, amplificata dai media, diffusa come veleno. Ma la legge si volta dall’altra parte. Peggio ancora, mentre Cappellacci resta intoccabile, è Schiavone a finire nel mirino. Indagato per presunte diffamazioni in risposta alle offese subite. Un cortocircuito giudiziario che dovrebbe farci vergognare tutti. Chi protegge chi? Chi difende un cittadino qualunque, che ha creduto nel valore della cultura e del dialogo, e si ritrova travolto da un fango istituzionalizzato? Cappellacci, invece di rispondere delle sue accuse, si è nascosto dietro il paravento dell’immunità parlamentare. Nessuna scusa, nessun confronto, nessuna responsabilità. Questa non è democrazia”, denuncia Raimondo Schiavone.
“È un sistema di potere che premia l’arroganza e punisce il coraggio. È una giustizia che si inginocchia davanti ai privilegi. È un Parlamento che non difende più la verità, ma solo sé stesso. Il caso Cappellacci-Schiavone è uno scandalo politico e morale. Una vergogna nazionale. E finché l’articolo 68 resterà così com’è, ogni cittadino sarà potenzialmente esposto al fango, senza alcun mezzo per difendersi davvero”, conclude Schiavone del Centro Italo Arabo e del Mediterraneo.