«Noi siamo Liberu e siamo, diciamo, il partito della sinistra indipendentista sarda e io sono la segretaria nazionale».
Inizia così l’intervento di Giulia Lai, attuale segretaria di Liberu, lo scorso 7 luglio, davanti ai giornalisti, al tavolo organizzato all’edificio Sali Scelti del Parco Molentargius, in occasione della presentazione della coalizione a trazione PD che punta a presentarsi alle elezioni regionali del 2024. L’intervento è reperibile sul profilo Instagram di Liberu.
Giulia Lai era affiancata dallo storico leader di Liberu, Pierfranco Devias, già ex dirigente di A Manca pro s’Indipendentzia e candidato alle regionali per la formazione Fronte Indipendentista Unidu nel 2014.
- La legge elettorale che esclude le minoranze
Ma analizziamo l’intervento della segretaria, perché rivela diversi punti su cui vale la pena fermarsi a riflettere:
«Perché siamo qui? Per due motivazioni principali: una è l’esigenza di eludere una legge elettorale che non lascia nessuno spazio alle minoranze».
Di che legge elettorale si tratta? Chi l’ha realizzata? Chi non ha fatto nulla per cambiarla quando avrebbe potuto? Lai non lo dice e passa ad altri argomenti, ma è doveroso puntualizzare.
La modalità elettorale vigente è stata stabilita dalla Legge Regionale Statutaria n. 1 del 12 novembre 2013 e fu votata in blocco dai partiti del cosiddetto “centro destra” e del “centro sinistra” per ostacolare l’ingresso dei 5Stelle nella politica regionale, all’epoca percepiti come forza anti casta. I 5Stelle a quella tornata elettorale non si presentarono, ma la legge elettorale inibì alla coalizione a trazione indipendentista “Sardegna Possibile” di essere rappresentata, pur avendo superato abbondantemente la soglia di sbarramento del 5%.
Vinse le elezioni il “centro sinistra” e governò fino a scadenza del mandato. Nel dicembre 2018, la maggioranza a guida PD e che vedeva la partecipazione di liste “indipendentiste”, modificò la legge elettorale ma solo per introdurre la doppia preferenza di genere, mentre nessun dibattito venne innescato per riformarne l’impianto altamente antidemocratico che prevede premialità esagerate per le piccole liste che si presentano nelle coalizioni favorite e sbarramenti esagerati del 5% e del 10% per chi si posiziona fuori dal duopolio “centro destra” / “centro sinistra”.
Per eludere questa legge elettorale Liberu con chi sceglie di allearsi? Con chi l’ha concepita, l’ha difesa, non l’ha modificata quando avrebbe potuto e ne ha beneficiato: il PD e i suoi vassalli.
- I cattivi sardisti alleati dei fascisti
Andiamo avanti. La seconda ragione perorata dalla segretaria Lai è quella di «arginare il governo di chi, fino a ieri si definiva sardista, ma si è alleato con i peggiori fascisti italiani, nell’ottica di diminuire quelli che sono i poteri di autogoverno dei sardi invece di agire proprio al contrario. Quindi noi abbiamo aperto il dialogo a tutti, ponendo al centro la questione sarda che ha la sua unica fonte nella mancanza di potere di autogoverno dei sardi».
Per arginare una coalizione che ha fatto scempio dei poteri sovrani dei sardi, si alimenta un’altra coalizioneche in passato, pur contando tra le sue fila presenze indipendentiste (neppure insignificanti elettoralmente, come Rossomori e Partito dei Sardi) ha preso provvedimenti tra i più centralisti, subalterni e anti sardi della storia autonomistica.
Per esempio, il Governo Pigliaru sottoscrisse, l’8 dicembre 2017, un protocollo d’intesa sulla questione “servitù militari” in Sardegna con il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, ratificando ufficialmente l’occupazione militare della Sardegna in cambio della restituzione di qualche bene militare in disuso e la sospensione delle esercitazioni nel corso dei mesi con maggiore afflusso turistico.
Prima di allora i vari presidenti di Regione o avevano accettato silenziosamente tale condizione o avevano abbaiato alla luna senza mai produrre atti concreti per ridurre la presenza militare nell’isola, ma nessun presidente di Regione aveva sottoscritto e quindi avallato ufficialmente la condizione coloniale che subisce la Sardegna. Quella Giunta si prese la responsabilità storica di sottoscrivere e dunque accettare, in cambio di un pugno di mosche e di un po’ di marketing, la condizione di terra occupata militarmente dall’Esercito italiano e dalla NATO.
Il Governo Pigliaru, sostenuto da formazioni “indipendentiste” e “di sinistra”, si prese pure la responsabilità di liquidare la vertenza entrate, rinunciando ad una storica battaglia di comitati e cittadini per una reale sovranità fiscale, sottoscrivendo un accordo a ribasso nel febbraio 2016 che prevedeva l’incasso di pochi spiccioli a fronte del gigantesco debito maturato dallo Stato italiano nei confronti della Regione Autonoma di Sardegna e istituendo una farlocca “Agenzia delle Entrate” priva di poteri sovrani.
Stessa sorte subì il servizio linguistico regionale che ha portato la stessa maggioranza a trazione PD a praticare una cupio dissolvi rispetto alle timide conquiste precedenti, con il risultato di cancellare del tutto la lingua sarda dalla dimensione pubblica.
- La speculazione energetica
Ma andiamo avanti seguendo il ragionamento della segretaria del «partito della sinistra indipendentista». Un esempio concreto di autogoverno, che questa nuova coalizione dovrebbe pretendere, sarebbe il contrasto della «speculazione energetica che fa paura» (Lai). Cosa fare di fronte a questa nuova colonizzazione? Per la segretaria Lai bisogna «agire secondo un programma che è una visione di transizione energetica destinata a favorire i sardi e non gli speculatori, un programma che nasca dalla partecipazione di tutti, democratica, plurale, come stiamo facendo adesso e che possa rappresentare anche noi indipendentisti».
Eppure furono proprio i partiti con cui Liberu ora vuole scongiurare il sacco degli speculatori (PD e M5S fra tutti) a votare il Dpcm energia del Governo Draghi che, fra le altre cose, prevede la costruzione di un cordone ombelicale energetico come il Tyrrhenian Link, funzionale alla trasformazione dell’isola nell’hub energetico del nord Italia e perfino d’Europa (andremo a produrre, secondo le ultime stime divulgate da Terna, energia per circa 50 milioni di persone, quando nell’isola siamo poco più di un milione e mezzo).
Il Decreto Draghi permette di fatto agli speculatori di sottrarsi ad ogni programmazione e governo del territorio e di realizzare gli impianti dappertutto, anche in aree agricole, consentendo in tal modo la proliferazione indiscriminata di impianti eolici, al punto di ritrovarci gigantesche pale eoliche in casa senza conoscerne nemmeno l’iter autorizzativo.
Ma – si potrebbe magari replicare – si tratta dei deputati italiani del PD, mentre con quelli sardi ci si può discutere, in quanto sardi appunto!
Sul decreto che apriva le invasioni barbariche che «fanno paura» a Giulia Lai, il deputato sardo del Pd, Gavino Manca – uomo di punta del PD sardo – dichiarava a mezzo stampa che «la firma del Dpcm energia mette un punto fermo. Ora tutte le forze istituzionali, sociali ed economiche facciano quadrato per trasformare questo atto in una grande opportunità» (Ansa.it, 32 marzo 2022). Questo perché non esiste un PD “sardo” o un centro sinistra “sardo”, bensì solamente una filiale rigidamente controllata, sia nella selezione del corpo dirigente che nell’elaborazione della politica regionale, dalle centraline continentali.
La (breve) lista della spesa programmatica della segretaria di Liberu si ferma qui, ma sarebbe interessante continuarla, per stabilire nuovi e importanti punti di accordo programmatico, da realizzare con la «partecipazione di tutti, democratica, plurale» con le forze del «centro sinistra sardo» per affrontare e finalmente avviare a soluzione la «questione sarda». Ne suggerisco giusto un altro paio, per dare il mio contributo a questo new deal del «partito della sinistra indipendentista»..
- L’occupazione militare
Uno importante è sicuramente quello relativo all’occupazione militare della Sardegna. In una recente iniziativa, organizzata a Quartu da Liberu sulla «questione sarda» è stato invitato il segretario del Partito Democratico Piero Comandini.
Se le storie e le biografie personali hanno un senso e se la logica aristotelica continua ad avere un qualche valore, sarà bene ricordare le posizioni pubbliche prese da Piero Comandini sul «mancato rinnovo del contratto tra il Ministero della Difesa e l’agenzia della Nato Namsa, per le attività che i dipendenti di Vitrociset assicurano all’interno del Poligono Interforze di capo San Lorenzo». Comandini – già consigliere regionale del PD sardo – si espose pubblicamente a favore non della chiusura della Vitrociset e dello stesso Poligono Interforze, ma al contrario per l’immediata «ripresa delle attività all’interno del poligono, scongiurando così la perdita di posti di lavoro in un territorio già colpito da una difficile crisi economica e sociale»(La Provincia del Sulcis, 5 gennaio 2015).
Nel medesimo intervento Comandini aggiungeva preoccupato: «non vorremmo che, in una fase così delicata che negli ultimi anni ha visto il Poligono al centro di indagini da parte della Magistratura (…) si giocassero partite romane che in un breve tempo potrebbero portare allo smantellamento progressivo di tutte le attività presenti nel PISQ con gravi conseguenze occupazionali per i territori dell’Ogliastra e Sarrabus-Gerrei».
Cioè, non è che si diventa segretari regionali del PD così a caso, prima devi farla un po’ di gavetta e cimentarti nella grancassa della propaganda coloniale e imperiale che vede l’occupazione militare della Sardegna come punto cardine strategico e intoccabile!
La difesa a spada tratta dei poligoni militari della Sardegna, perorata con tanta enfasi dall’attuale segretario del partito di maggioranza della coalizione di “centro sinistra”, che aspetto risolve della poliedrica «questione sarda» che sta a cuore ai dirigenti di Liberu?
- Lo smantellamento del diritto alla salute
Un’altra sicura convergenza in chiave di autogoverno sarà sicuramente la difesa della sanità pubblica sarda. Il PD, su questo terreno, può vantare un’esperienza gloriosa di macelleria sociale, date le epiche gesta dell’assessore Luigi Arru con il famigerato “Riordino della rete ospedaliera sarda” e la sinistra riforma della Asl unica. Questi provvedimenti furono tanto apprezzati dal popolo sardo che per averne contezza basta andare a leggere i numerosi documenti della “Rete Sarda difesa della sanità pubblica” e le denuncie, analitiche e precise, delle decine di comitati che in questi anni si sono battuti contro privatizzazioni, tagli e smantellamenti del diritto alla salute.
Con il pieno appoggio della sua maggioranza e con il silenzio assenso degli “indipendentisti” che gli facevano da zerbino, Arru era riuscito nell’intento di smantellare il diritto alla salute dei sardi, tagliando servizi sanitari pubblici fondamentali e di qualità, svuotando ospedali un tempo d’eccellenza, declassando o chiudendo presidi medici territoriali ed eliminando centinaia di posti letto nei principali centri dell’isola.
Nel frattempo la coppia PD Pigliaru-Arru fu anche quella che, nell’entusiasmo generale del «centro sinistra sardo» e della stampa compiacente, portò a compimento l’operazione Mater Olbia, drenando fondamentalmente tutte le risorse spremute dal pubblico (circa 60 milioni di euro in tre anni) all’ospedale privato del Qatar.
Si sarà riferita a questo la segretaria di Liberu quando ha sostenuto, davanti ai giornalisti, che «bisogna difendere lo stato sociale sardo»?
È un peccato che non ci sia stato almeno un giornalista che abbia sentito il bisogno di chiedere a Giulia Lai di chiarire in che modo le posizioni guerrafondaie, centraliste, coloniali e ultra liberiste del PD possano trovare qualche addentellato con un programma di sinistra e/o indipendentista.
Arrivati a questo punto forse il lettore potrà chiedersi perché parlo solo delle posizioni di Liberu e non delle altre presenze indipendentiste sedute al tavolo elettorale.
- Va bene sinistra indipendentista, ma quale?
Premesso che l’analisi del quadro elettorale e del ruolo delle forze che si ispirano alla sinistra e all’autogoverno non si esaurisce certo con questo intervento, lo faccio per un motivo assai semplice. La storia di Liberu non affonda le sue radici nell’indipendentismo e del sardismo opportunista e trasformista che siamo abituati a conoscere, bensì in un’altra storia politica che fu A Manca pro s’Indipendentzia, l’organizzazione della sinistra indipendentista sarda che ha resistito alla violenta repressione del 2006 e del 2009 e che, fino al 2014, stava lavorando per gettare le basi di un movimento popolare legato alle comunità e ai subalterni di Sardegna.
Poi, il 24 maggio del 2015, si svolse a Nuoro il quinto e ultimo congresso di A Manca pro s’Indipendentzia, dove ne venne decretato lo scioglimento con la finalità di creare «un ampio partito della Sinistra Indipendentista».
Il congresso stabilì allora che A Manca pro s’Indipendtzia aveva svolto «la maggior parte dei compiti che si era prefissata». (Unione Sarda, 27 maggio 2015)
Di lì a pochi mesi nacque un nuovo partito, appunto Liberu. Oggi forse possiamo capire meglio quali fossero questi compiti «che A Manca non aveva potuto o non era riuscita a realizzare». Fra questi c’era evidentemente anche l’obiettivo di liquidare un intero bagaglio di lotte, esperienze e perfino biografie personali con il miraggio di agire dall’interno delle istituzioni per cambiarle, come se trent’anni di entrismo e opportunismo della sinistra e dell’indipendentismo in maggioranze geneticamente estranee all’autogoverno e al progressismo, non avessero insegnato nulla!
Una cosa non può e non potrà però essere mai svenduta, vale a dire l’analisi di un altro Congresso di A Manca pro s’Indipendentzia, quello che si svolse nella torre aragonese, il 7 aprile 2013, dove si lanciava la costruzione del “Partidu de sos traballadores sardos”.
Ne ripropongo qui due brevi passi:
«Il nostro più grave danno è quello di essere in qualche modo equiparati al fallimento della sinistra italiana con cui noi non abbiamo alcuna area di omogeneità né alcun progetto comune».
«Se non si imposta la lotta di liberazione nazionale come un processo per la liberazione delle forze produttive della nazione sarda e come contestazione integrale del sistema coloniale orientata al suo abbattimento tramite un reale protagonismo del popolo sardo, anche la posizione indipendentista è destinata a degenerare nell’esotismo e nello specialismo, diventando in effetti lubrificante folkloristico di un nuovo e ancora più rapace processo di colonizzazione» (le tesi integrali si possono leggere in Falce e pugnale, Omar Onnis e Cristiano Sabino, Catartica edizioni, 2019).
- Un cammino possibile
In politica, come nella vita, ognuno è responsabile delle proprie scelte e quella di entrare in una coalizione guidata dal PD è una scelta legittima.
Altrettanto legittimo però è dire a gran voce che allearsi con il PD è una follia perché si tratta di uno dei partiti più centralisti e alieni sia alla causa dei lavoratori (che infatti non lo votano più), sia alla causa dell’autogoverno della Sardegna (che infatti calpesta e contrasta ogni volta che ne ha la possibilità).
Immagino già le obiezioni alla mia riflessione.
Ma si può dire che una persona di cultura sardista, indipendentista, di sinistra, dovrebbe avere sempre ben presente che tutte le riforme peggiori, sia in campo statale che regionale, le ha avviate il PD, creando le condizioni perché poi dilagasse la destra e soprattutto si consolidasse un’opinione pubblica conformista e fatalista che non concepisce più la possibilità stessa del cambiamento, della trasformazione e del protagonismo popolare?
Certo che ognuno può fare quello che vuole, certo che bisogna rispettare le scelte di tutti e argomentare il proprio dissenso, ma non bisogna neanche tapparsi la bocca e cucirsi gli occhi in nome di un mal compreso e mal digerito “volemose bene”. Questo perché alcuni valori e progetti politici (come l’autogoverno, la sinistra, l’indipendentismo), non sono proprietà personali o di partito, ma sono patrimonio collettivo di innumerevoli esperienze e percorsi.
Politica significa fare delle scelte e scegliere di sostenere una coalizione geneticamente anti Sardegna è una scelta che danneggia l’idea di indipendentismo e/o di progressismo per l’autogoverno, come valida alternativa al trito e ritrito “campo largo” a trazione PD che poi, una volta al governo, silenzia le listarelle idealiste e fa i suoi porci comodi, con l’aut aut “se voti contro sei fuori e sei responsabile della caduta del governo”.
Questa non è una proiezione o una maldicenza, è banalmente la storia dei governi regionali e statali degli ultimi trent’anni.
Semplicemente l’entrismo in queste coalizioni così politicamente blindate non funziona, sempre che l’obiettivo sia quello di cambiare le cose e non fare l’ufficio collocamento per amici e amichetti.
La strada è sicuramente lunga e a mio parere non bisognerebbe partire dalle elezioni per vedere i risultati, bensì dalla società o al massimo dalle comunali (come fece la CUP in Catalogna). Però ogni volta che si mette in moto un processo che ha come obiettivo quello di costruire una proposta politica e sociale e non primariamente elettorale (Carta di Convergenza Indipendentista, Mesa Natzionale, ecc..), arrivano sempre i soliti, lavorano sotterraneamente, inquinano i pozzi e alla fine riescono a sfasciare tutto.
Poi si presentano alle elezioni senza aver fatto alcun lavoro nella società, si propongono come paladini del cambiamento e quando prendono una sussa, si offendono con “il popolo sardo che non li ha capiti” e usano questi fallimenti per giustificare salti carpiati nel buco nero del PD e delle sue varie coalizioni.
Ognuno faccia ciò che vuole, ma non gridi allo scandalo se attira critiche anche severe.
Buona fortuna dunque a Liberu e ai suoi esponenti di punta, il colonialismo ha sempre bisogno di nuovo «lubrificante folkloristico» per perseguire i suoi obiettivi.
E buona fortuna soprattutto a tutte e tutti coloro i quali vorranno riprendere il cammino di una sinistra sardista e popolare capace di costruire una proposta alternativa ai due blocchi che hanno permesso la devastazione della Sardegna.
Di Cristiano Sabino