Sparatoria in un campus a Las Vegas, morto il presunto attentatore

Il terrore torna tra gli studenti di un campus universitario americano con l’ennesima sparatoria di massa.

Questa volta il teatro della violenza è l’University of Nevada a Las Vegas, la metropoli celebre in tutto il mondo per i suoi casinò e i suoi eccessi ma anche per gli episodi di violenza, superiori alla media nazionale, che hanno avuto il loro tragico picco nel 2017 con una strage ad un festival musicale nella quale sono state uccise 60 persone. L’allarme nell’ateneo è scattato attorno alle 11.30 ora locale, le 20.30 in Italia, nella Beam Hall, edificio che ospita la facoltà di economia. L’università ha pubblicato un messaggio invitando gli studenti ad evacuare dalla zona, contemporaneamente la polizia ha annunciato in un post su X di essere impegnata a rispondere ad una “sparatoria nel campus” e che c’erano “molte persone colpite”. Difficile al momento se si tratta di morti o feriti poiché con la parola inglese “victims” si intendono entrambi. Dopo circa mezz’ora, la polizia ha comunicato che “il sospetto era stato individuato ed era morto”. Anche in questo caso non è stato chiarito se sia stato ucciso dagli agenti o si sia tolto la vita.

Un copione che si ripete con una frequenza inquietante negli Stati Uniti: studenti terrorizzati, famiglie distrutte e le solite domande senza risposta su come contenere la violenza delle armi in un Paese in cui il 40% della popolazione ne possiede una. Sei anni fa proprio nella metropoli dei casinò una delle stragi più cruente della storia degli Stati Uniti. Stephen Paddock, 64 anni, sparando a caso sulla folla con ben 23 armi, tra cui diversi fucili d’assalto, dalla finestra della sua stanza nel Mandalay Hotel. Il bilanciò fu tremendo: 61 morti, incluso il killer che si è suicidato, e 850 feriti. Nell’anno che sta per finire gli Usa hanno registrato il maggior numero di sparatorie di massa in un anno dal 2006. Con le ultime tre, due avvenute durante il fine settimana, il numero totale è arrivato a 38, superando il record precedente – 36 – registrato nel 2022. Nonostante i continui appelli di Joe Biden al Congresso per vietare la vendita almeno “armi da guerra” come gli Ar-15, in un Paese in cui ne circolano 390 milioni le leggi non riescono a passare. Troppo forte l’opposizione dei sostenitori, soprattutto repubblicani, del secondo emendamento della Costituzione Usa e di quei politici foraggiati dalla potentissima lobby della Nra, inclusi Donald Trump e tutti gli altri candidati alla presidenza per il Grand old party nel 2024.

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