Svolta per Assange, gli Usa offrono un patteggiamento

Un patteggiamento con una dichiarazione di colpevolezza per un reato meno grave: è l’exit strategy dell’amministrazione Biden per mettere fine alla spinosa vicenda politico-giudiziaria di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks che nel 2010 pubblicò decine di migliaia di documenti classificati legati alla sicurezza nazionale americana, una delle più colossali e imbarazzanti fughe di notizie della storia.

Il dipartimento di Giustizia americano sta valutando l’ipotesi di un accordo in base al quale Assange si dichiarerebbe colpevole di cattiva gestione di informazioni classificate, un reato minore rispetto alla cospirazione finalizzata a violare la legge sullo spionaggio.

Un’intesa gli eviterebbe l’estradizione da Londra negli Usa, spianandogli la strada verso la libertà. Il fondatore di WikiLeaks potrebbe patteggiare da remoto, senza mettere piede negli Stati Uniti, e probabilmente sarebbe scarcerato poco dopo, considerando i 5 anni già scontati nella capitale britannica.

Secondo il Wall Street Journal, il primo a rivelare la notizia, discussioni preliminari sarebbero in corso da mesi tra i procuratori americani e gli avvocati di Assange. Uno di loro, Barry Pollack, ha riferito però che non c’è ancora alcun via libera dal dipartimento di Giustizia. Nel frattempo Londra deve decidere se concedere al detenuto il diritto ad un ulteriore appello contro l’estradizione: in caso contrario, il governo americano avrà 28 giorni di tempo per prelevare Assange e portarlo in tribunale.

Nel 2010 il fondatore di WikiLeaks pubblicò un mare di documenti militari top secret e dispacci diplomatici riservati, dall’Afghanistan all’Iran e a Guantanamo, fino ai rapporti con gli alleati, mettendo gravemente in pericolo e in imbarazzo gli Usa. Da allora iniziò il suo calvario: l’immediata accusa di stupro in Svezia (poi caduta), il lungo asilo nell’ambasciata ecuadoregna a Londra dal 2012, l’arresto dopo che lo cacciarono dalla sede diplomatica per il suo comportamento controverso.

Barack Obama decise di non incriminare Assange per non creare un precedente contro i media che pubblicano informazioni classificate. E commutò la pena di 35 anni, liberandola dopo sette, a Chelsea Manning, l’analista dell’esercito che passò il materiale a Wikileaks. Fu solo nel 2019 che il dipartimento di giustizia Usa annunciò l’incriminazione, sotto l’amministrazione di Donald Trump.

Ma pare che prima l’allora presidente avesse offerto segretamente la grazia ad Assange ad una condizione: scagionare la Russia dai sospetti di aver partecipato alla divulgazione tramite Wikileaks delle email hackerate al partito democratico nel 2016. Ora Biden vorrebbe togliersi questa patata bollente in piena campagna elettorale, evitando i rischi di un processo che trasformi Assange in un martire del primo emendamento sulla libertà di parola e di stampa. Anche perché ben difficilmente potrebbe subire una condanna superiore ai cinque anni già trascorsi dietro le sbarre.

La sua libertà sembra comunque ipotecata: se dovesse saltare il patteggiamento, può invocare l’impegno preso in passato dagli Usa a trasferirlo nella sua Australia per scontare eventuali pene. E il governo di Canberra, da sempre supportivo nei suoi confronti, potrebbe mitigare la sentenza e liberarlo subito.

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