Una donna allo specchio per un vivido affresco della società, tra moralismo e trasgressione, con “Spogliarello” di Dino Buzzati, nella raffinata e evocativa mise en scène firmata da Marco Nateri per il Teatro del Segno, in cartellone sabato 6 e domenica 7 aprile alle 20.30 al TsE in via Quintino Sella, nel cuore di Is Mirrionis a Cagliari: sotto i riflettori Marta Proietti Orzella e Alessandra Leo, che interpretano rispettivamente la protagonista, una creatura fragile e a suo modo ingenua, a dispetto della spregiudicatezza e dell’intraprendenza, ambiziosa e disposta (quasi) a tutto pur di sfuggire all’incubo della miseria e «una sua amica e confidente, che la conforta nei momenti più cupi e tragici», figura nata dall’immaginario del regista, quasi per attenuare la crudeltà del «racconto di una solitudine, che ogni essere umano deve affrontare». Una pièce intrigante, venata di sottile umorismo, incentrata sulla «storia di Velia, bella e affascinante, alla ricerca disperata di quella sicurezza che la faccia vivere senza preoccupazioni»: quasi un’eroina al contrario, che rivendica il suo diritto agli agi e alle comodità, al benessere e al lusso cui non può accedere per diritto di nascita, ma ottenuti servendosi della propria avvenenza per diventare la costosa mantenuta di un ricco ingegnere, disposto a pagare profumatamente il privilegio di godere delle sue grazie, per un nuovo duplice appuntamento della seconda tranche della Stagione 2023-2024 di Teatro Senza Quartiere organizzata dal Teatro del Segno con la direzione artistica di Stefano Ledda e inserita nel progetto pluriennale “Teatro Senza Quartiere / per un quartiere senza teatro” 2017-2026. Il sogno della pericolosa e seducente femme fatale s’infrange per la prematura fine del protettore, così che la donna si ritrova quasi sul lastrico, costretta a inventarsi nuovi modi per sbarcare il lunario, nella consapevolezza dell’effimera durata dello splendore e del fascino della giovinezza e con la difficoltà di trovare un degno surrogato dello scomparso, così dovizioso e generoso da averle offerto l’illusione di una vertiginosa, quanto breve, ascesa sociale e economica, sia pure nell’ambiguità del demi monde invece che trionfalmente alla luce del sole.
“Spogliarello” nella versione di Marco Nateri, costumista e scenografo di fama internazionale, rappresenta «un atto d’amore verso Dino Buzzati, scrittore talentuoso e profondo, uno dei più originali e interessanti autori del nostro Novecento, al punto che le sue pagine, intense e ispirate, allegoriche e ammonitrici, sono tra le più amate anche dai lettori odierni e verso il suo mondo e specialmente il suo teatro», come rivela l’artista cagliaritano, formatosi al Laboratorio di esercitazioni sceniche di Roma diretto da Gigi Proietti, con all’attivo importanti collaborazioni con registi come Marco Gagliardo e Marco Parodi, Rino Sudano, Carlo Quartucci, Riccardo Reim, Andrea Dosio, Lelio Lecis e Primo Antonio Petris e con professionisti del calibro di Piera Degli Esposti, Pasquale Grossi, Carlo Diappi, Claudine Gastine, François Tournafond, Graziano Gregori e Francesco Esposito, tra le produzioni del Festival dei Due Mondi Spoleto, di Enti e Fondazioni Lirico-Sinfoniche e di varie compagnie teatrali, dall’Italia al Giappone. La pièce, un intenso monologo femminile in cui Velia si mette idealmente a nudo, confessando errori e debolezze, viene proposta in un inedito allestimento con «un grande tappeto bianco a forma circolare per definire la stanza, un piccolo boudoir, con tante sedie e un inginocchiatoio» – in un contrasto tra sacro e profano – quasi a voler accostare, non a caso, i simboli del peccato e dell’espiazione, nella rievocazione di un’esistenza travagliata, che si trasforma nella «Via Crucis di una donna disperata che ha perduto tutto», e affronta con rabbia e disincanto la propria discesa agli inferi. Una narrazione in cui si alternano differenti toni e registri, dal compiacimento e l’arroganza di chi presume di aver finalmente trovato il proprio posto nel mondo, all’ostentata sicurezza e le ingannevoli promesse di una richiesta d’aiuto, fino alle lusinghe e il disgusto verso coloro che abusano del proprio potere, nel vano tentativo di conservare un briciolo di dignità, infine la resa davanti agli implacabili colpi e agli scherzi del destino, forse con la speranza di un’ultima catarsi.
Icona di una femminilità succuba del potere maschile in seno a una cultura patriarcale, Velia si vede e si riconosce attraverso lo sguardo degli uomini, sui quali esercita le sue arti di maliarda, fino al punto di considerare un successo l’esser divenuta il proibito oggetto del desiderio di un individuo benestante e godere così nella luce riflessa dell’ammirazione e dell’invidia riferite a costui, apparentemente ignara della propria posizione di inferiorità e divertita dall’arrendevolezza del suo amante. L’idillio finisce improvvisamente perché l’ingegnere ha un cuore e un fisico troppo deboli per i suoi appetiti e slanci da libertino e la lascia in una situazione doppiamente imbarazzante, ma comunque senza un soldo d’eredità: come una novella Cenerentola allo scoccare della mezzanotte, la donna si ritrova se non proprio vestita di stracci, comunque di nuovo emarginata e sola, nello squallore e nell’indigenza, con in più il rimpianto per la passata fortuna. In un racconto per quadri, quasi “stazioni” di un arduo cammino verso la perdizione, Velia prosegue nella sua caduta inarrestabile e ogni suo tentativo di risollevarsi la fa precipitare ancor più nell’abisso di una degradazione, resa possibile anzi favorita dai tanti, troppi e quasi tutti uomini, che cercano di approfittarsi di lei.
“Spogliarello” racconta una vicenda emblematica, in cui l’effimera bellezza di una falena si brucia nel volo verso una luce troppo ardente: Velia è la vittima volontaria ma in effetti inconsapevole di un sistema repressivo, in cui il ruolo e la condizione delle donne sono funzionali a una visione maschilista,dove la sua bellezza e il suo corpo sono merci di scambio mentre l’emancipazione e la parità sono ancora lontane… almeno nel Belpaese, ieri come oggi, alle soglie del terzo millennio. Un’allegoria della società tra paradossi e contraddizioni, in cui Dino Buzzati pare voler mettere l’accento specialmente sull’ipocrisia della borghesia, tra vizi privati e pubbliche virtù.