“Una delibera votata in extremis; un affare immobiliare da oltre 400 mila euro; un possibile danno erariale e un ormai ex sindaco in conflitto di interesse. Sono gli ingredienti dell’ultimo scandolo che si abbatte sul martoriato Teatro Lirico di Cagliari. Al centro della vicenda, un terreno che la Fondazione presieduta fino a pochi giorni fa dal sindaco uscente Paolo Truzzu ha deciso di acquistare il 14 marzo scorso (a elezioni regionali già avvenute) nel “conglomerato industriale di Macchaireddu”. Si tratta di 20.000 metri quadri destinati ad ospitare un capannone da utilizzare come deposito di scena”, scrive il giornalista
“A vendere quei 20.000 mq è il Consorzio Industriale Provinciale di Cagliari (CACIP), il secondo consorzio industriale più grande d’Italia. Valore del passaggio di proprietà: 378.000 euro + Iva. Una normale transazione potrebbe sembrare a prima vista. Invece i lati oscuri in questo passaggio di proprietà sono molteplici. A cominciare dal fatto che quel 24 marzo Truzzu è un sindaco uscente, quindi dovrebbe astenersi da ogni atto che esuli l’ordinaria amministrazione. Tuttavia questa regola – come hanno dimostrato le 170 delibere votate dalla giunta Solinas nell’ultima riunione prima di decadere – in Sardegna non sembra valere… Ma oltre a una questione di opportunità, il voto di Truzzo quel giorno pone un problema di legittimità: Truzzu, infatti, in questo affare veste la doppia camicia del compratore (come presidente della Fondazione che gestisce il teatro) e quella del venditore (essendo anche membro del Cda del Cacip). Un evidente conflitto di interessi che cozza, oltretutto, con lo statuto della Fondazione lirica, che all’art. 7.6 recita: “I componenti degli organi della fondazione non possono prendere parte alle deliberazioni nelle quali abbiano interessi in conflitto con quelli della Fondazione (…)””, si legge nel quotidiano.
“Ma non è finita qui: nella deliberazione n.8/2024 del Consiglio di Indirizzo della Fondazione si ripercorre tutto l’iter dell’affare e, sebbene in modo nebuloso, non si fa alcun cenno al fatto che il Teatro abbia mai espresso una manifestazione di interesse per l’acquisto del terreno. Cioè non avrebbe mai chiesto proposte di acquisto, non avrebbe sondato il mercato e poi comparato i costi, né avrebbe mai effettuato un bando. Le carte riferiscono semplicemente che il Cdi “dato mandato al Sovrintendente (Nicola Colabianchi, ndr) a individuare locali da destinarsi a deposito scene che possano soddisfare le esigenze della Fondazione”. Aggiungeva poi il Cdi che “l’immobile destinato al deposito scene” dovesse avere “dimensione non inferiore ai 5.000 metri quadri”. Quindi, da quanto scritto, parrebbe che la scelta del terreno di Macchiareddu sia frutto della sola volontà del Sovrintendete, poi avallata dal Cdi”…” Ma a leggere bene gli atti, si individua un’altra grande incongruenza: il Cdi aveva dato originariamente il mandato di individuare “locali da destinarsi a deposito”, cioè un capannone, “di almeno 5.000 mq”, non un terreno da edificare. Invece il teatro finisce per comprare un appezzamento da 2 ettari, sul quale, probabilmente, si dovrà poi costruire un capannone. Un non sense, considerato che da un lato a Macchiareddu i capannoni vuoti sono decine, dall’altro le spese per la Fondazione, considerando la bonifica, la progettazione e la costruzione materiale dell’edificio, sono destinate a esplodere. Senza poi contare che, dovendo costruire ex novo, i tempi sono destinati ad allungarsi, e, nel frattempo, il Teatro Lirico continuerà a pagare circa 120.000 euro annuali di affitto degli spazi che occupa oggi. Insomma, un affare assai poco vantaggioso per il Teatro lirico. Che non ha voluto rispondere alle domande de La Notizia, così come non hanno avuto alcuna risposta le domande poste al Consorzio industriale”, scrive ancora
“Inoltre, il rogito del terreno di Macchiareddu ha un precedente inquietante: a maggio del 2021 il Cdi del Teatro aveva deliberato di acquistare un edificio di 8160 mq nel comune di Uta, a seguito di un’indagine pubblica esplorativa (allora venne fatta, anche se andò deserta). Si scoprì poi che il magazzino individuato dall’Ufficio tecnico della Fondazione era un cespite frutto di un fallimento, rilevato da una società di Roma, fondata solo un mese prima dell’asta fallimentare. Non certo le premesse migliori, tanto che allora la Fondazione desistette dall’acquisto. A differenza dei 20.000 mq di Macchiareddu, che non hanno fatto sorgere alcun dubbio nel Cdi, evidentemente…”, conclude Andrea Sparaciari per La Notizia.