La new wave della musica, dei video, della moda e dell’avanguardia più in generale, ha avuto radici anche la Sardegna.
Che cosa ha significato fare musica “strana” in un’Isola conosciuta quaranta-quarantacinque anni fa soprattutto per il mare d’estate, i nuraghi e il ballo sardo lo racconta un film appena uscito, “The missing boys”, diretto da Davide Catinari, musicista prestato alla regia, uno dei punti di riferimento di quella scena che nella decade 1979-1989 stava al passo con quello che succedeva soprattutto in Gran Bretagna, ma anche nel resto d’Europa e negli Usa.
Lì i modelli erano i Joy Division, poi New Order, i Cure, il David Bowie della trilogia berlinese. In Italia i più noti erano i primi Litfiba e Diaframma. In Sardegna giocavano la carta dei suoni spesso oscuri della new wave-post punk, del dark e della musica elettronica, da Cagliari a Sassari, band come Demodé, Crepesuzette, Nice ray, Physique du Role, RosadelleCeneri, Cult of Destiny, Ici on Va Faire, Vapore 36, Polarphoto, Agorà, Weltanschauung, Maniumane, Anonimia, Quartz, Autosuggestion, Femme Publique.
Non facevano musica già sentita, non suonavano revival. Provavano a essere contemporanei cercando di stare al passo con suoni e modalità espressive mai ascoltate o viste fino ad allora. “Con questo film – spiega all’ANSA Catinari, fondatore dei Dorian Gray, la band con cui ha pubblicato sette album e frequentato palchi di tutto il mondo – ho voluto raccontare l’emergere e l’affermarsi di una scena musicale quasi dimenticata, come gran parte del movimento giovanile che in quegli anni si diffuse sia nelle grandi città che in provincia, confrontandosi con le stesse criticità anche se attraverso dinamiche diverse. Il periodo preso in esame è compreso tra il 1979 e il 1989, una decade seminale legata a un trapasso generazionale importante, che ha lasciato un segno indelebile, generando un immaginario che arriva sino ai giorni nostri. Il claim ‘dalle formiche alle nuvole’ allude proprio al percorso di quella scena, fatta da pochi ragazzi con un grande sogno”.
E il lavoro sta circolando bene e ottenendo riscontri: per ora più fuori dall’Italia che in Italia. Ad esempio il film è nel gruppo dei quindici semifinalisti dello Scandinavian International Film Awards: esiti e premiazioni in programma il 17 dicembre. E partecipa al GIFF, Glendale International Film Festival, dal 28 settembre al 5 ottobre. Una scena, quella raccontata da Catinari, che doveva fare i conti con molte difficoltà. Innanzitutto con la quasi impossibilità di reperire i dischi delle band di riferimento: gli lp o i maxi single si ordinavano dal continente. O li portava in Sardegna chi andava a Londra. Suonare? Case di campagna e cantine per provare. Ma per esibirsi ottenere uno spazio era il primo problema. In contesti a volte azzeccati come il concerto di Villa Asquer a Cagliari. A volte un po’ meno: per suonare era buono anche il palco della festa del santo nei piccoli centri delle province di Cagliari e Sassari.
Un’impresa anche pubblicare: molti si limitavano all’audio cassetta da far circolare o da vendere a cinquemila lire. Solo pochi fortunati – tra loro Maniumane, Quartz, Crepesuzette in una compilation, Vapore 36, Agorà – riuscirono ad arrivare al vinile. Affacciandosi anche a qualche palco nazionale. Un lavoro, The missing boys, che si divide in sei capitoli che raccontano la progressiva evoluzione della scena isolana, dalle origini sino alla sua timida esposizione su livello nazionale, passando per i luoghi d’incontro, i mezzi di comunicazione, l’alba dei videoclip, l’estetica delle nuove tribù urbane e l’inevitabile conclusione. Quando? Quando gruppi come Simple Minds o Depeche Mode, da band di culto diventarono band da stadio. Chiudendo un’era. E aprendone un’altra.