“Tutti hanno paura degli incubi, io ho paura delle cose normali. Per esempio da ragazzino mi faceva paura alzarmi e andare a scuola.
Ci sono cose che mi hanno sempre reso più nervoso dell’oscurità”. Tim Burton, il regista geniale, è alla Mole Antonelliana, dove è stata allestita una grande mostra dedicata al suo mondo visionario. Torino è impazzita per il suo arrivo, in 10.000 hanno scritto al Museo Nazionale del Cinema per chiedere di potere partecipare a qualcuno degli appuntamenti previsti, dalla masterclass alla premiazione alla proiezione del film. Alla fine l’idea è stata quella di fare un ‘violet carpet’ una walk of fame, durante la quale nella serata di mercoledì si concederà ai fan firmando autografi e dispensando selfie. Non era mai successo.
Fino al 7 aprile 2024, per la prima volta in Italia, la mostra – ideata e co-curata da Jenny He con Tim Burton e adattata da Domenico De Gaetano, con un budget di 900.000 euro – ospita disegni, bozzetti e documenti del grande regista mostrando un’incredibile varietà della sua produzione creativa. E’ stato allestito anche il suo studio e da lì sembra uscire il suo immaginario per invadere gli spazi del Museo creando “un connubio tra la follia visionaria di Tim Burton e quella architettonica di Antonelli”, dice il presidente Enzo Ghigo. Tim Burton a Torino non c’era mai stato. “Avevo visto Venezia, altre città italiane, mai Torino. Quando sono entrato qui alla Mole mi sono chiesto come fosse possibile.
Questa mostra è qualcosa di potente, questo luogo somiglia a un parco dei divertimenti”, esordisce il regista nella conferenza stampa nell’Aula del Tempio. “Sono stato fortunato ad avere successo subito, questo mi ha dato la possibilità di andare avanti, ma ho continuato ad avere le stesse sensazioni di quando ero ragazzo di essere un po’ un outsider, un reietto. E’ una sensazione che non mi abbandona mai”, spiega il regista. “Tutto stimola la mia immaginazione. La fantasia è sempre stata importante nel cinema, realtà e fantasia si compenetrano. La cosa importante sono le emozioni umane. La fantasia nel cinema mi è sempre sembrata più reale”. Il cinema, dice Tim Burton, “sta cambiando.
E’ una preoccupazione reale, ma le persone continuano ad andare al cinema, la televisione non lo ha soppiantato come si pensava durante il Covid”. Paura dell’intelligenza artificiale? “Tutto stimola la mia immaginazione, come tutte le tecnologie anche l’intelligenza artificiale può essere utilizzata in modo positivo o negativo”. E poi c’è il politically correct che “rende difficile fare lo scrittore e l’artista perché molte cose non si possono fare. Io sono da sempre politically incorrect e spero di torni alla ragione”. Per il futuro Tim Burton ha tante idee. Il regista spiega che per l’arrivo della seconda serie di Mercoledì “bisogna ancora risolvere alcune problematiche”. E aggiunge: “Adoro quel personaggio, mi ha parlato, sapevo che era scritto per me perché dentro di me c’è una parte di adolescente disturbato. Spero che si possano risolvere le cose e che vada in onda presto”.
Quanto alla scelta di Beetlejuice per la proiezione torinese Tim Burton commenta: “Ho quasi finito il secondo film dopo 35 anni, una cosa strana di questi tempi. Non lo avevo più visto, ho pensato che fosse il film più adeguato”. Un erede tra i registi di oggi? “Non ho idea. Il mio percorso è molto complesso, ho seguito una via tortuosa. Non so proprio” sorride.