Un lavoro durato otto mesi nel quale gli agenti della squadra mobile di Verona hanno indagato in silenzio, con l’ausilio di registratori e videocamere, sull’operato di cinque colleghi, portando alla luce episodi di violenze e torture avvenute tra le pareti della Questura.
A finire agli arresti domiciliari, con un provvedimento scattato all’alba, sono stati un ispettore e quattro agenti, accusati in almeno sette occasioni di aver abusato di persone sottoposte alla loro custodia.
Nell’ordinanza del gip Livia Magri che dispone le misure cautelari si sottolinea come gli indagati con le loro condotte “abbiano tradito la propria funzione, comprimendo i diritti e le libertà di soggetti sottoposti alla loro autorità, offendendone la stessa dignità di persone, creando essi stessi disordine e compromettendo la pubblica sicurezza”. Poliziotti che avrebbero “commesso reati piuttosto che prevenirli” e approfittato “della qualifica ricoperta, anche compiendo falsi ideologici in atti pubblici con preoccupante disinvoltura”.
I cinque agenti, dicono le indagini, avrebbero preso a schiaffi, insultato e accecato con lo spray al peperoncino le vittime. In uno degli episodi citati dal gip, due poliziotti non solo avrebbero picchiato una persona sottoposta a fermo di identificazione, ma anche costretta a urinare nella stanza fermati, per poi spingerla in un angolo facendola cadere a terra e usandola “come uno straccio per pulire il pavimento”.
In un altro caso si parla di un agente che avrebbe sferrato uno schiaffo al volto di uno dei fermati così “vigoroso da fargli perdere i sensi per alcuni minuti”. Oltre alla tortura, ai cinque sono stati contestati, a diverso titolo, anche i reati di lesioni, falso, omissioni di atti d’ufficio, peculato e abuso d’ufficio.
Gli agenti coinvolti erano già stati trasferiti ad altri incarichi all’indomani della chiusura delle attività di indagine, quindi da alcuni mesi, partita casualmente dall’intercettazione di un poliziotto nell’ambito di un altro procedimento. Ma nell’inchiesta sono indagati anche altri agenti, che avrebbero assistito alle violenze e non avrebbero fatto nulla. Ed infatti il questore di Verona Roberto Massucci ha disposto la rimozione dagli incarichi anche di altri 23 poliziotti che, pur non avendo preso parte direttamente alle violenze, potrebbero non aver impedito o comunque non aver denunciato gli abusi. Chi doveva indagare lo ha fatto, in ogni caso, senza fare sconti a nessuno. “Ringrazio la procura di Verona per la fiducia accordata alla Polizia nel delegare alla squadra mobile le indagini riguardanti gli operatori appartenenti alla stessa questura – dice il capo della Polizia Vittorio Pisani – .La levatura morale della nostra amministrazione ci consente di affrontare questo momento con la dignità e la compostezza di sempre”. Un concetto espresso anche da Massucci.
“Si è trattato di una indagine svolta completamente dall’interno – sottolinea – e durata diversi mesi per accertare in modo chiaro e trasparente comportamenti non legittimi”. Semmai il fatto che gli agenti abbiano svolto gli accertamenti richiesti nei confronti dei loro colleghi conferma “la fiducia nei confronti delle donne e gli uomini della questura di Verona”: “se qualcuno è venuto meno a questo principio – aggiunge – è giusto sia la magistratura a valutarlo sulla base delle indagini che abbiamo sviluppato”. Per il presidente del Senato, Ignazio La Russa, “sicuramente la storia di Verona è preoccupante: se i magistrati, sia pure nella fase istruttoria, hanno ritenuto di avviare un procedimento penale questo preoccupa molto.
Auguro di potere dimostrare la loro innocenza, ma se così non fosse è giusto che paghino”. Quanto avvenuto, secondo la senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra, Ilaria Cucchi. rende “assolutamente necessario introdurre nella nostra normativa il codice identificativo per il personale delle forze di polizia e le bodycam da apporre sui caschi o sulle divise degli agenti”.