Doveva essere nelle intenzioni del governo una manovra “seria e prudente”, si risolve nella sostanza in una manovra fatta di tagli, bonus e giochi di prestigio; e per lo più blindata dalla preclusione di presentare emendamenti e quindi di effettuare la discussione parlamentare.
La legge di bilancio che unitamente al decreto legge sugli anticipi alla Pa e ai decreti sulla riforma fiscale vale complessivamente 28 miliardi, si caratterizza per aggirare tutte le vere questioni che non dovevano e non potevano essere aggirate, affidando tutto alla cortina fumogena della propaganda e dei trucchi contabili
E così in un quadro di vertiginosa impennata dei prezzi, anche per effetto dell’escalation militare in Medio oriente, la questione salariale viene semplicemente ignorata e sostituita nella propaganda governativa dagli effetti benefici (per ora limitati tra l’altro a un solo anno) che produrrebbe il binomio taglio del cuneo fiscale/riforma fiscale con l’accorpamento delle prime due fasce al 23 percento per i redditi fino a 28.000 euro. Soldi di tutti per arginare il crollo del potere d’acquisto dei salari.
Ma così come il taglio del cuneo fiscale nulla ha a che fare col tema salari ed anzi ipoteca per il futuro pensioni e sevizi pubblici, così la riforma fiscale e quindi l’aliquota del 23 percento per redditi fino a 28.000 euro vale dai 10 ai 20 euro al mese. Nel frattempo la riforma fiscale non scalfisce minimamente i grandi patrimoni e le grandi rendite, mentre concede l’ennesimo regalo alle imprese con una super deduzione pari a circa 1,3 miliardi legata alle assunzioni a tempo indeterminato.
Stesso gioco di prestigio sul versante sanità ove i tre miliardi in più strombazzati dalla premier Meloni, si risolvono in realtà in un solo miliardo in più rispetto alla spesa sanitaria del 2023: ma per effetto dell’inflazione il miliardo aggiuntivo viene letteralmente mangiato e difatti la spesa sanitaria cala al 6.3 percento del Pil rispetto al già basso 6,6 percento del 2023. Senza considerare i soliti regali alla sanità privata laddove l’abbattimento delle liste d’attesa si risolve consentendo alle regioni di pagare un numero di visite maggiori nelle strutture convenzionate. Degno di questo Governo, marcatamente razzista, il provvedimento sul contributo economico dovuto dai cittadini stranieri per accedere al SSN, inutile ricordare che l’art.32 della Costituzione tutela gli individui, oltre che la collettività. E tutela soprattutto i meno abbienti.
Sul fronte pubblico impiego, oltre ai tagli ai ministeri pari a circa un 5 percento delle spese che di fatto inaugura una nuova stagione all’insegna della spending review, l’illusionismo del governo si concentra sullo spostamento e la dislocazione di poste: e così per il 2023 vi sarebbe solo un anticipo dei rinnovi contrattuali attraverso il potenziamento dell’indennità di vacanza contrattuale, mentre le risorse stanziate per i rinnovi si annunciano largamente inferiori al vertiginoso aumento dei prezzi e fortemente ipotecate dalla corsia preferenziale riservata al comparto sicurezza e al rinnovo dei contratti dei dirigenti medici. Una provocazione che l’USB è già pronta a rispedire al mittente con lo sciopero generale della categoria previsto per il 17 novembre.
Su tutto un gigantesco piano di privatizzazioni pari a 20 miliardi da realizzare in tre anni perseguendo la consueta illusione di fare cassa sulle partecipate e ripianare il debito.
Ora questo capolavoro dell’ingiustizia sociale e dell’illusionismo passerà al vaglio della Commissione europea e non è detto che i custodi dell’ortodossia liberista siano clementi con il governo.
Ma naturalmente come USB non attenderemo la squallida manfrina governo/Ue per rispedire al mittente una finanziaria sulla quale pesano come macigni gli effetti nefasti del coinvolgimento politico militare del nostro paese nei vari scenari di guerra.
Se questa manovra di bilancio è la plastica rappresentazione del nesso esistente tra l’escalation militare e il progressivo peggioramento delle condizioni sociali di strati sempre più larghi della popolazione, assume ancora più importanza la manifestazione nazionale del 4 novembre contro la guerra: l’ennesima occasione per rilanciare quel grido “Abbassate le armi, alzate i salari” che oggi più che mai è la cifra dello scontro politico in atto nel nostro paese.