Verdone, il politicamente corretto ucciderà la commedia

“Vita da Carlo è un decimo di quello che mi accade nella realtà, non è niente, a volte è davvero pesante: non che il successo, la popolarità non siano belli, ma conviverci mi è difficile da sempre.

All’inizio della carriera è stato uno choc, per un anno ho avuto attacchi di panico, sono andato dallo psicanalista ma non mi sono mai abituato” dice all’ANSA Carlo Verdone.

Il regista è tornato per la terza volta a Marateale, per una masterclass fiume con i giovani che vogliono fare il mestiere del cinema a cominciare dai 15 ragazzi del contest per attori Young Blood, qualche giorno fa era sempre con i giovani ma a Giffoni. “Mi piace incontrarli, non mi sottraggo a loro”, ammette Verdone che poi però sospira. “Eh si perché non si immagina che fatica girare. Per arrivare a Maratea ho preso il treno a Termini – racconta strappando risate – come sono salito una signora si è messa ad urlare: ‘venite, correte con i telefoni, c’è Carlo Gedrone, Gallo Verdone’ – diceva senza azzeccare il mio nome – sono arrivati in 40 un incubo per fare i selfie, una distruzione. Poi durante il viaggio mi viene un momento di sonno, vengo svegliato con una botta alla spalla da una signora per fare una foto commentando ‘pure con l’occhio mezzo chiuso lei è una poesia’, che cosa avrà postato non oso immaginarlo.

Questa non è vita, è Vita da Carlo”, dice rassegnato, sottolineando che tutta questa pressione delle persone è “esorcizzata” nella serie. La seconda stagione, diretta con Valerio Vestoso, sarà in streaming su Paramount+ dal 15 settembre, poi come da contratto se ne farà una terza, “poi penserò al nuovo film su cui qualche idea sto già appuntando. Penso al cinema perché sono nato lì e voglio morire lì”. A Marateale si è raccontato ai giovani parlando di serietà, abnegazione, talento da coltivare e soprattutto ha parlato di tanti aneddoti sui suoi inizi, su Sergio Leone che non amava il Furio di Bianco Rosso e Verdone, sempre con quel velo di malinconia che è un po’ nel Dna dell’attore-regista. Rimpianto per il privato, per il tempo trascorso? “I figli ad un certo punto hanno capito quanto totalizzante fosse il mio lavoro ma – risponde il 72enne Verdone – quando ho potuto li ho portati fuori dall’Italia, abbiamo fatto tanti viaggi in America, Medio Oriente, il rimpianto viene quando ti rendi conto che in tanti anni hai dato poco a tanti amici che meritavano di più la tua presenza, mi riferisco a qualche compagno di scuola, di università, ad amici veri e quando qualcuno scompare penso sempre: ma non potevo frequentarlo un po’ di più.

Purtroppo questo è un lavoro, come lo faccio io, 11 mesi l’anno senza tregua. Ecco, oggi il rimpianto è questo – prosegue parlando con l’ANSA – ho lavorato troppo e forse ho perso cose importanti, me ne sto accorgendo adesso, ma purtroppo è andata così”. Raccontando gli aneddoti ad un certo punto il discorso si è spinto sull’attualità, sull’intelligenza artificiale “che sarà la morte del cinema d’autore”, motivo per cui Verdone si è detto “d’accordo con lo sciopero degli attori e degli autori in America”, e poi sul fenomeno del politicamente corretto. “Sul razzismo sono d’accordo, ma su tutto il resto il politicamente corretto al cinema è letale, insopportabile. Siamo tutti d’accordo su alcune cose, come lo spazio alle minoranze, però altre sono francamente ridicole e finiranno per rendere il nostro lavoro di commedianti impossibile” ha detto alla masterclass. “Gallo Cedrone, un film del ’98, oggi si potrebbe rifare? Mai.

Compagni di scuola? Mai, c’è pure la presa in giro di uno sulla sedia a rotelle e tante battute scorrette. Della commedia degli anni ’60 – ha aggiunto – non si potrebbe rifare quasi niente. Alberto Sordi andrebbe preso e buttato dentro ad un cestino, ma dai, siamo veramente al ridicolo. Basta, non li posso più sentire, fermo restando che su razzismo e altre culture minori che devono avere lo stesso peso degli altri sono perfettamente d’accordo”.

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