Viaggiatore del senso!
“Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta, Vesuvio erutta, lalalala lala lala, lalalalala lala lala…”
L’arte contemporanea è potere economico: creazione di produzione specializzata, nel nome della quale c’è un’organizzazione di diversi compiti di conservazione e distribuzione (dallo storico dell’arte al curatore, dal critico al gallerista, dall’artista al giornalista di settore…).
Questo determina vincoli di dipendenza tra chi produce e acquisisce ricchezza:
a capo di tutto chi controlla e distribuisce (élite politiche e commerciali che fondono pubblico e privato, o anche l’editoria specializzata dell’arte contemporanea eterodiretta in gran parte da interessi storicamente legati al Partito Democratico), muovendo estese reti mascherate di cultura di ricerca, reti d’investimento commerciali che arrivano alle banche come fonte d’investimento.
La strategia è imporre merce d’artista non disponibile localmente nel nome dell’internazionalità dell’arte (prendi un artista localizzato come me, fallo esporre alla Biennale d’Istanbul, e determinerai altrove un artista internazionale), vi faccio una confidenza, l’arte è tutta internazionale ed extraterritoriale, non assolutamente localizzabile.
Il potere sociale e politico, diventa ideologico investimento di mercato, veicolato attraverso simboli d’interesse culturale e politico che prima s’impongono e poi condividono.
Tutto questo l’attraverso con uno strumento, il linguaggio artistico, che pratico con un mio stile, col quale indago il tempo, arrivando fino a sei milioni d’anni fa, qualcosa che si muoverà ben oltre me e noi in questo tempo, certo in questo scenario sociale mi chiedo spesso: perché un artista si dovrebbe confrontare con il suo passato lontano da oggi?
Non sarebbe meglio, darsi un tono politico, con sguardo critico verso i vaccini obbligatori, la crisi climatica globale, il sostegno al popolo palestinese, l’aumento della povertà e la miseria e criticavo la Nato e la il suo espansionismo provocatorio generatore di guerre e conflitti?
Cosa guadagna un artista, nell’esplorare e sintetizzare, l’universo simbolico dell’arte, fuori dal tempo?
Senza focalizzare il passato e l’origine del tutto, non ci si confronta ad arti pari con il presente: la sintesi della memoria, nel linguaggio dell’arte, consente un’analisi complessiva e globale, sul vero stato dell’arte contemporanea (senza posizionamenti ideologici o in conflitto d’interesse rispetto a un proprio target di mercificazione e consumo).
L’esperienza umana è fatta di continuità e cambiamento, in questo l’artista è per mandato, vocazione e devozione, il custode del patrimonio simbolico, linguistico culturale dell’umanità, questo è il ruolo sociale che, preserva lui, quelli come lui, l’umanità e il pianeta.
Questo penso, quando quotidianamente, percorro Via Toledo e Piazza del Plebiscito, in cerca di uno scoglio a Mergellina, dove ritrovarmi e riflettere sul senso d’insieme di questo tempo, ritrovandomi in un contesto che pare quello di una protesi dell’aeroporto di Capodichino, un non luogo a cielo aperto, un turismo da selfie a buon mercato con Vesuvio sullo sfondo (viene sempre bene ed è politicamente corretto, se odi Napoli, ne invochi l’eruzione, se lo ami, ne rispetti il silenzio), che ha finito per trasformare San Gregorio Armeno, da luogo di pastori e presepi, a strada di pizzaioli e fritture di pesce a cielo aperto: i pastori del presepe sono i turisti che mangiano pizzette e arancini, come tutti loro indosso da residente, fuori posto, la maglietta del Napoli col numero dieci, con la scritta Maradona (ho cominciato a collezionarle per meglio mimetizzarmi tra la folla, impatto in artisti di strada e performer vari quotidiani, da Maradona a Maradonna, da Nigeriani col Bongo che cantano cori da stadio travestiti da Oshimen a neomelodici che s’esibiscono affacciati al balcone di casa, assisto a panarielli calati strategicamente dal balcone che strappano applausi ai turisti che li riprendono, dinanzi a tutto questo a cosa serve musealizzare?
La cartolina turistica è diventata la sopravvivenza, il barbiere di quartiere è diventato una star per il turista, l’arte è tutta per strada, dalla public art alla street art, dai performer di strada ai graffiti politici, dai percussionisti ai mandolinisti, dai canti popolari alle star virali d’instagram che ritroveremo presto in qualche talent.
Non serve un terremoto e neanche il Vesuvio, Napoli è già distrutta nelle sue fondamenta, l’unica ancora e argine è lo studio dell’arte e la sua sintesi di senso, tradotta in ricerca e spiritualità, perché l’unica cosa che vale la pena d’indagare a cielo aperto, è il mistero di ciò che sta determinando l’umano, mercificando se stesso a cielo aperto, in questo frammento di millennio.
Per questo formazione e alta formazione artistica, sono sempre da preservare, espandere a tutelare a Napoli, il mistero è come mai a Cagliari, l’Alta Formazione Artistica non sia ancora mai pervenuta: a proposito Umberto Di Pilla, arrivava a Cagliari, seppur molisano, dopo avere frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli (proprio come me), forse ho chiesto il trasferimento, per evitare una vita di sofferenza e derisione come la sua, che per l’Alta Formazione Artistica, e per il Liceo Artistico Foiso Fois, ha fatto di tutto e dato di tutto, finendo dimenticato e isolato fino alla morte, era solito dirmi “nessuno si ricorda più di me”, sono curioso di capire quanto durerà il suo ricordo dopo la sua morte, presumo la sua importanza storica nel Cagliaritano, venga accantonata il prima possibile, troppo scomodo, politicamente non servo di logiche dominanti e imposte, ma tutto non Cagliaritano e non sardo (questo non toglie, che come da stanco rituale da tradizione, tra sacro e profano, tutti l’abbiano pianto e compianto).
di Mimmo Di Caterino