Questa mattina alle 8:00 a Torino sei persone aderenti alla campagna NON PAGHIAMO IL FOSSILE, promossa da Ultima Generazione, hanno bloccato il traffico sulla SP11 Padana Superiore Torino Chivasso, sedendosi sull’asfalto della carreggiata del senso di marcia che conduce verso l’uscita. I cittadini della campagna di disobbedienza civile nonviolenta per tutta la durata dell’azione hanno dialogato con gli automobilisti innervositi, discutendo della gravità della situazione climatica corrente e dell’inaccettabilità dell’inazione della Politica per contenerne i danni. Dopo 24 minuti di blocco, sono arrivate sul posto le Forze dell’ordine, che in poco tempo hanno portato via i presenti.
OBIETTIVO DELL’INIZIATIVA: chiedere lo stop immediato di tutti i sussidi pubblici ai combustibili fossili a partire dalla città dell’automobile, capoluogo di un Piemonte già duramente colpito dalla crisi climatica, fatta di siccità alternata a bombe d’acqua e surriscaldamento delle temperature, che hanno fatto perdere le risaie del Vercellese e implodere i ghiacciai.
Il Piemonte divenuto terra di frontiera, con le valli di Monginevro e Bardonecchia teatro di migrazioni climatiche, testimone del dramma del passaggio di persone che hanno perso tutto e cercano di raggiungere la Francia e il Nord Europa. Un destino che oggi coinvolge gli abitanti di altre nazioni, ma molto presto, secondo le previsioni di studi scientifici sempre più numerosi, riguarderà gli italiani in prima persona.
“Abbiamo deciso di bloccare una strada ad alta percorrenza a Torino, sciaguratamente considerata Città dell’Automobile, per lanciare il messaggio ‘Stop al fossile’. La qualità dell’aria della nostra città ha sforato sistematicamente il limite dei 50ug/m3 di Pm10 per più dei 35 giorni all’anno previsti dalla legge, con conseguenze sulla salute dei cittadini/e. Vogliamo portare l’attenzione sulla grave crisi ecologica e climatica che vive la nostra regione con periodi di siccità prolungati, scarso innevamento e scioglimento dei ghiacciai alpini che si verificano ormai da anni e che non possono essere considerate emergenze passeggere. I danni, anche economici, all’agricoltura stanno impoverendo tutta la regione e la costringono a dipendere dall’estero per foraggi, mangimi e cereali per alimentazione umana”, hanno spiegato i manifestanti.
“Non da ultimo, la grave crisi climatica globale interessa la nostra regione, e in particolare i valichi di confine, anche con l’aumento dei cosiddetti ‘migranti climatici’, che nel mondo hanno ormai raggiunto quota 100 milioni e sono costretti ad abbandonare le proprie terre in cerca di aree del mondo più vivibili. Oggi li vediamo arrivare dai Paesi africani e asiatici, ma le previsioni ci dicono che potremmo esserlo anche noi tra poche decine di anni, forse già dal 2050. Non possiamo restare indifferenti di fronte a questa condanna all’estinzione di massa e chiediamo che la cittadinanza ci supporti nelle richieste alle istituzioni di agire subito e in maniera efficace per azzerare le emissioni e l’inquinamento superfluo e per mitigare le conseguenze di quelle passate ed ormai irreversibili”, ha affermato Claudio.
Tra il 2012 e il 2022, il Migration data portal ha contato una media di circa 21,6 milioni di migranti climatici all’anno. “Il 53% dei 60,9 milioni di nuovi sfollamenti interni registrati nel 2022 è stato causato da disastri. Al 31 dicembre 2022, almeno 8,7 milioni di persone in 88 Paesi e territori vivevano in stato di sfollamento interno a causa di disastri verificatisi non solo nel 2022, ma anche negli anni precedenti. Si tratta di un aumento del 45% del numero totale di sfollati interni a causa di disastri rispetto al 2021”, si legge nell’area del portale dedicata alle migrazioni climatiche.
Non solo, il numero che potrebbe salire a 216 milioni entro il 2050, secondo il rapporto Groundswell della Banca mondiale, che prevede che la crisi climatica potrebbe portare fino a 216 milioni di persone in sei regioni del mondo (Africa sub-sahariana, Asia meridionale, America Latina, Asia orientale e Pacifico, Nord Africa, Europa orientale e Asia centrale) a spostarsi all’interno dei loro Paesi entro il 2050, se non verrà intrapresa alcuna azione urgente per ridurre le emissioni globali di gas a effetto serra.
“Anche nel Mediterraneo e in Italia, le ondate di calore, la mancanza di acqua, il calo delle rese agricole, la maggiore frequenza di inondazioni e l’intensificarsi di fenomeni metereologici estremi, oltre a essere una realtà presente nella vita di tutti noi, sono destinate ad aumentare di pari passo con il riscaldamento globale, secondo le proiezioni dell’Ipcc. Per mitigare questi effetti è necessario un cambio di paradigma, sviluppare politiche di adattamento preventive e rendere la transizione ecologica non solo uno strumento per riconvertire i nostri sistemi produttivi e della mobilità – che sono energivori ma soprattutto basati maggiormente sull’uso delle fonti fossili, responsabili dell’inquinamento e dell’aumento dei gas climalteranti – ma un’occasione che non deve esacerbare vecchie e nuove disuguaglianze, rancore sociale, tra generazioni o tra Paesi”, ricorda anche Legambiente.
“Da anni sono estremamente preoccupato per ciò che sta succedendo. L’escalation è evidente: sono impressionato dalla siccità continua nelle nostre zone, dai fiumi secchi. Io andavo spesso nei boschi e vedevo sempre animali, dopo la siccità dell’anno scorso non ne ho più visti. Ogni anno battiamo i record di temperatura media a livello locale e globale. Questa situazione mi ha spinto ad abbracciare l’azione diretta nonviolenta. La disobbedienza civile nonviolenta non è un reato ma la reazione sana che tutti dovrebbero avere di fronte alla condanna che i nostri Governi stanno firmando per noi a una vita indegna, fatta di fame e di guerre per accaparrarsi le aree fertili che diventeranno sempre più rare in Italia”, ha aggiunto Massimiliano.