Nei giorni scorsi in occasione della Giornata internazionale del sex work, collettivi, associazioni e lavoratrici del sesso provenienti da ogni parte d’Italia si sono riuniti in congresso a Bologna, per discutere di decriminalizzazione e diritti della prostituzione.
E’ stata l’occasione per parlare di lavoro, tasse, salute, sicurezza personale, carcere e molto altro ancora. Tutti diritti e doveri che di norma spetterebbero a qualsiasi lavoratore, ma che nel settore fanno invece fatica a farsi largo, infatti, anche se in Italia il lavoro sessuale non è considerato un reato, l’impianto normativo su cui regge il sistema sembra piuttosto voler imboccare due direzioni: non considerarlo un lavoro e non considerarlo affatto.
Il problema di fondo è che il nostro Paese è ancora fortemente influenzato da uno stigma che avvolge tutta la sfera sessuale, che se ne parli come un impiego oppure no. Chi lavora con il sesso, per questo motivo, subisce costantemente il peso di una morale collettiva che giudica negativamente chi guadagna con il proprio corpo.
Il congresso di Bologna si è riunito anche con lo scopo di sfatare tutti quei falsi miti che rendono la vita di una persona sex worker un percorso ad ostacoli. Per citarne uno, «lavorare con il sesso non è sfruttamento: non è così, quella retorica, quella narrazione non è la nostra, non ci piace», ha commentato Porpora Marcasciano, consigliera comunale a Bologna, attivista per i diritti delle persone trans e a capo del MIT (Movimento identità trans).