Vola a New York “Riva Luigi ’69 ’70 – Cagliari ai dì dello scudetto”.
Lo spettacolo di e con Alessandro Lay, quattro mesi dopo la scomparsa del mito del calcio italiano, andrà in scena il 9 giugno al Peter Norton Symphony Space’s Leonard Nimoy Thalia.
In questo teatro Woody Allen girò una scena del celebre “Io e Annie”.
La pièce di Lay ha debuttato nel 2018 alla Vetreria di Pirri per il cada die. Erano presenti in sala anche il figlio del grande campione, Nicola Riva, e alcune glorie del Cagliari dello scudetto come Beppe Tomasini. “Alessandro Lay è riuscito a cogliere proprio questo attaccamento di mio padre a questa terra”, aveva detto all’ANSA il figlio di Rombo di tuono. “In questo bellissimo lavoro ho rivissuto gli anni felici del Cagliari dello scudetto – era stato il commento di Tomasini – ho rivisto il mio compagno di squadra Gigi, grande trascinatore, grande uomo dentro e fuori dal campo”.
A far da ponte per la trasferta newyorkese dello spettacolo, applaudito sui palchi di diverse città sarde e italiane, compresa Leggiuno, paese natale di Riva, è stato il circolo Shardana Usa. Il regista e attore, nel suo monologo, si sofferma sulle gesta sportive ma soprattutto sull’aspetto umano di Gigi Riva, il capocannoniere della nazionale italiana, il ragazzino che rimase orfano di padre e di madre, il giocatore che disse no alla Juve di Agnelli.
Nella finzione teatrale Lay, che sul palco confessa di non essere mai stato fedele al calcio, intreccia il suo vissuto personale con quello di Riva. Sullo sfondo la Cagliari “ai dì dello scudetto”, con lo stadio gremito dalla mattina. “Nel 1970, quando il Cagliari divenne campione d’Italia, io avevo 8 anni – rievoca il regista e protagonista della piece – non ricordo molto dello scudetto, ma ricordo come era la città, l’album della Panini e le partite a figurine sui gradini della scuola elementare”.
“Ricordo il medagliere, con i profili dei giocatori del Cagliari sulle monete di finto, fintissimo oro da collezionare.
E ricordo vagamente un ragazzo schivo, a volte sorridente, che guardava sempre da un’altra parte quando lo intervistavano. Un ragazzo che puntava i pugni in terra e si faceva tutto il campo correndo ogni volta che segnava un gol”.